Corriere di Verona

«Segregata? Macché, mia sorella là era felice»

«Non siamo come i pakistani di Brescia. E non sapevamo fosse incinta»

- di Enrico Presazzi

«Ma liberata da chi? Da cosa? Vieni dai, ti spiego tutto». E in quel «tutto» c’è la tempesta che da giovedì sera l’ha travolto. «Mi ha scritto un amico e mi ha girato i link ai siti dei quotidiani. Non riuscivo a credere a quel che leggevo». Perché la storia di Farah, la studentess­a pakistana che ha chiesto aiuto agli amici denunciand­o di essere stata portata a Lahore dai genitori con l’inganno per farla abortire, è la storia di sua sorella. Lui, il fratello maggiore, anche ieri mattina era dietro al bancone del negozio di telefonia di Veronetta, aperto dal padre più di dieci anni fa, prima che le agenzie battessero la notizia della liberazion­e di Farah.

Accetta di parlare e il suo italiano è perfetto, come quello dei suoi coetanei veronesi con cui è cresciuto. Accanto a lui c’è lo zio (il fratello del padre) e decidono di «spiegare tutto». Il fratello prende in mano il cellulare e mostra un video arrivato giovedì sera. Farah, sguardo un po’ stanco e capelli raccolti dietro la nuca in una coda: «Mi chiamo Farah, sono qui in Pakistan perché voglio starci e nessuno mi sta obbligando. Sono contenta, tra un mese torno e non ho nessun problema con i miei genitori».

La prova, secondo zio e fratello, che non ci sia stata nessuna «segregazio­ne». «Cosa ne dici?» chiedono i due. E quando si fa notare che potrebbe essere stato preparato proprio per allontanar­e ogni sospetto dai familiari, il ragazzo apre la galleria sul suo smartphone. Ecco immagini e filmati di Farah in abiti tradiziona­li, seduta accanto ad altre parenti, o mentre danza con loro. Il ritratto di una ragazza felice (ride spensierat­a) e in buona salute. «Sono video di qualche settimana fa spiega il fratello -. Sono i festeggiam­enti per i matrimoni dei nostri cugini. Ti sembra una ragazza che sta male?».

Già, perché secondo quel che ha scritto lei stessa nelle chat con le amiche e le compagne di scuola del Sanmicheli, in Pakistan sarebbe stata costretta ad abortire. Quando si accenna alla gravidanza, lo zio si surriscald­a: «Ma quale gravidanza? No, non era incinta».

Il fratello si liscia i baffi tra pollice e indice e puntualizz­a: «Io non sapevo nulla di questa storia della gravidanza. E Farah è andata in Pakistan di sua volontà, per i matrimoni dei cugini. Se avesse abortito, secondo te, potrebbe ridere e ballare così?». Ma dalle chat delle amiche e da quanto denunciato giovedì dall’assessore comunale Stefano Bertacco, i genitori le avrebbero sequestrat­o i documenti . Quando lo si fa presente al ragazzo, lui sorride: «Ma come? Ma figurarsi. Non dico che li abbia in tasca, perché non lo so. Ma è maggiorenn­e e libera. Così come quando è partita: con le leggi che ci sono in Italia se non voleva partire, in aeroporto avrebbe potuto farlo presente a qualcuno. Non è che l’abbiamo chiusa in una gabbia per andare là».

Qualche ora più tardi, però, dal Pakistan iniziano ad arrivare notizie di un «blitz» per liberare la giovane. Fratello e zio sono ancora in negozio, accettano ancora di parlare e di chiarire. Il ragazzo estrae nuovamente lo smartphone e mostra ancora altri video e altre foto. «Ti pare che se era prigionier­a la portavano in un posto come Gardaland?». Poi una serie di video in cui sorride e danza con i costumi tradiziona­li insieme alla madre, circondata da altre persone: «Una incinta o una che ha appena abortito balla così secondo te? Io li ho sentiti al telefono tre giorni fa. Papà, mamma e Farah erano a casa, guardavano al tv. Stavano tutti bene». Eppure il fidanzato rimasto in Italia, raccontava un’altra storia. «Sì, certo che conosciamo quel ragazzo prosegue il fratello -. Sta insieme a Farah da anni e non ci sono mai stati problemi con mio padre e la mia famiglia. Non so come sia iniziato tutto questo. Ammazzare mia sorella? Ma stiamo scherzando? Non si deve generalizz­are. Non è che tutti i pachistani sono come quelli della ragazza di Brescia (il riferiment­o è a Sana Cheema, la ragazza uccisa dalla famiglia, in Pakistan, ndr)».Lo zio puntualizz­a: «E dove era rinchiusa? Nella loro casa di tre stanze a Lahore? Tra qualche giorno tornerà in Italia e spiegherà tutto lei». Poi il fratello di Farah mostra il registro delle chiamate: «È da ore che sto cercando di sentire mio padre o mia madre, ma non risponde nessuno».

Sui genitori Li sto chiamando da un bel po’, ma non riesco a parlare con loro al telefono

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A Veronetta Il negozio di telefonia di proprietà del fratello di Farah che ieri ha raccontato la versione della famiglia

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