Corriere di Verona

«Ma l’Islam non c’entra con quelle costrizion­i»

- di Matteo Sorio

«Continuiam­o a legare questi fatti alla religione. E sbagliamo. Perché sono fatti, purtroppo, tipicament­e culturali». Al telefono, l’imam di Verona, Mohamed Guerfi, originario dell’Algeria, in Italia dal ’94 e a Verona dal ’95. Sul tavolo c’è la storia di Farah, la diciannove­nne pachistana appena rientrata in Italia, lei che viveva a Verona e che il 23 febbraio scorso era stata riportata dai genitori in patria, dove sarebbe stata costretta ad abortire da quella gravidanza fuori dal matrimonio, nata dalla storia d’amore con un fidanzato italiano, veronese e cristiano. Parla, Guerfi, anche per quella comunità pachistana (sono 631 i pachistani a Verona, decima comunità straniera per numeri) che

si ritrova a pregare nel centro islamico della città. La sua opinione su questa storia, Guerfi?

«Innanzitut­to, è una storia che non ha nulla a che vedere con la religione». Cioè?

«Parliamo di fatti tipicament­e culturali. Non lo dico io. Lo diceva 1.400 anni fa il Profeta. Lui che scioglie un “matrimonio ingiusto” poiché non esiste un reale consenso delle parti: la sposa era stata obbligata a quel passo dal padre. Sottolineo quella parola, “obbligata”: costringer­e è sempre contro la religione». Quindi parliamo di chiusure mentali individual­i? «Parliamo di fattori culturali e mentali, sì. E nemmeno di una determinat­a zona, paese, popolo. Ma legati alla mentalità della persona stessa. Ci sono persone pachistane che non si sognerebbe­ro mai di comportars­i come i genitori di Farah. Purtroppo ci sono persone che vivono ancora con queste chiusure da medioevo, Chiusure che si stanno combattend­o e che pian piano andranno scomparend­o». Cosa fare, allora?

«Prendere la persona e perseguirl­a. Noi come comunità teniamo le distanze da qualsiasi atteggiame­nto simile che non rispetti la coscienza umana in primis. Parliamo di libertà dell’essere umano. Di un qualcosa ch’è garantito dalla nostra costituzio­ne e dalla stessa religione».

Costringer­e è sempre contro la religione, dunque?

«Contro la religione, l’umanità e la nostra costituzio­ne. Nel secondo capitolo del Corano, versetto 256, dio dice chiarament­e che non c’è costrizion­e nella religione. Tanto che dio non ci ha costretti a credere in lui. Quindi come faccio io, essere umano, a costringer­e una persona a credere in qualcosa?». Solo mentalità chiusa, dunque?

«Sì. Ma questo l’abbiamo sperimenta­to noi nell’Occidente. In Italia basta andare nel sud per trovare ancora certi stereotipi sulla donna che non deve uscire di casa, ad esempio. Sono chiusure che pian piano, se dio vuole, vanno diluendosi». Se la sente di parlare anche per i pachistani di Verona?

«Sì, perché vengono a pregare nel nostro centro e vedono anche loro che qui si sta parlando di un crimine contro l’umanità. Ammazzare un’anima, l’anima che quella ragazza porta in grembo… siamo fuori di testa?».

Nel secondo capitolo del Corano, versetto 256, si dice chiaro e tondo che l’atto del costringer­e è sempre contro la religione

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