UN RISCHIO L’EURO NELL’URNA
La forzatura sul nome del potenziale ministro Savona, e la scelta del presidente della repubblica di non dare l’incarico a Conte, e quindi all’alleanza tra Lega e Movimento Cinque Stelle, apre scenari inediti anche sul piano locale.Il presidente ha sostenuto di aver agito a difesa dei cittadini e dei loro risparmi: e lo ha fatto nella sua autonomia e all’interno delle sue prerogative costituzionali. Il problema non è lì. Il problema è che, se abbiamo un’idea non procedurale ma sostanziale della democrazia, le forze politiche risultate vincenti alle elezioni, con una maggioranza a loro sostegno, si sono visto sottratto il diritto a governare. Ed è grave.
Si può discutere sulle ragioni vere del dissenso: dopotutto il conflitto sul nome sarebbe stato facilmente componibile. E magari ipotizzare che l’esito sia stato in qualche modo voluto da Salvini, che elettoralmente, con tutta probabilità, ne beneficerà significativamente alla prossima tornata.Si può anche ritenere che il contenuto stesso del programma elettorale rischiasse di essere devastante per i conti pubblici e persino eversivo: nel caso, lo si sarebbe dovuto esplicitare. Sta di fatto che la rappresentanza elettorale ha finito per diventare irrilevante: e non è una buona notizia per la democrazia. Che si sostenesse questa ipotesi di governo o meno. Il governo Cottarelli nasce senza maggioranza, e per traghettare il paese alle elezioni.
Figlio di una scelta del presidente, è bene che resti un governo del presidente. E che – salvo sostenere le scelte che condivideranno – le forze politiche non gli diano una fiducia che sarebbe sorprendente, dato che nulla è stato concordato con esse. Ma si usino questi mesi per discutere e per uscire dalle ambiguità: all’interno dei vari partiti, più che tra di essi.
In Veneto la situazione è ancora più complessa. Al governo c’è una coalizione di centrodestra che sul piano nazionale è divisa, e molto più conflittuale al suo interno ora di quanto lo fosse quando si è presentata alle precedenti elezioni. Al contempo Lega e M5S, alleati sul piano nazionale da poche settimane nel tentativo di formare il governo, contano insieme su un sostegno popolare superiore alla metà abbondante del corpo elettorale. E tutto fa pensare che, soprattutto per la Lega, questo sostegno sia in crescita ulteriore, proprio a seguito della «vittoria mutilata» o negata di questi giorni.
Tuttavia, l’oggetto del contendere vero di questa partita sul governo è stato il rapporto con l’Europa, e con l’euro. In Veneto, pur non mancando le proteste anti-europeiste, il grosso del mondo imprenditoriale e dei ceti produttivi – spina dorsale del consenso al governo regionale – è favorevole tanto all’euro quanto all’Europa verso cui esporta e grazie a cui si arricchisce. E teme sopra ogni cosa qualunque instabilità e qualunque avventurismo giocato su questi temi. Non vanno tuttavia trascurate le proteste di qualche pezzo di questo mondo che ha subìto la concorrenza europea o decisioni che l’hanno danneggiato (da talune regolamentazioni comunitarie alle sanzioni alla Russia). E’ questo mondo, soprattutto, che dovrà chiarirsi le idee. Chiedendo a sua volta ai partiti a cui offre la propria rappresentanza di chiarirsele.
Le prossime elezioni, in buona misura, si giocheranno su questo. Ma sarebbe un errore imperdonabile – e un danno per tutti – se diventassero una sorta di referendum sull’Europa. Per giunta con i partiti maggioritari e vincenti contro di essa, e i partiti minoritari e perdenti a sua difesa. Il paese, e la sua economia, hanno bisogno di altro. Sarà bene quindi chiarirsi le idee prima, finché si è in tempo. In modo da non ripetere un epilogo, come quello cui abbiamo assistito in questi giorni, che, comunque vada, ha già lasciato macerie sufficienti, da cui sarà difficile sgombrare il campo.