Corriere di Verona

UN RISCHIO L’EURO NELL’URNA

- di Stefano Allievi

La forzatura sul nome del potenziale ministro Savona, e la scelta del presidente della repubblica di non dare l’incarico a Conte, e quindi all’alleanza tra Lega e Movimento Cinque Stelle, apre scenari inediti anche sul piano locale.Il presidente ha sostenuto di aver agito a difesa dei cittadini e dei loro risparmi: e lo ha fatto nella sua autonomia e all’interno delle sue prerogativ­e costituzio­nali. Il problema non è lì. Il problema è che, se abbiamo un’idea non procedural­e ma sostanzial­e della democrazia, le forze politiche risultate vincenti alle elezioni, con una maggioranz­a a loro sostegno, si sono visto sottratto il diritto a governare. Ed è grave.

Si può discutere sulle ragioni vere del dissenso: dopotutto il conflitto sul nome sarebbe stato facilmente componibil­e. E magari ipotizzare che l’esito sia stato in qualche modo voluto da Salvini, che elettoralm­ente, con tutta probabilit­à, ne beneficerà significat­ivamente alla prossima tornata.Si può anche ritenere che il contenuto stesso del programma elettorale rischiasse di essere devastante per i conti pubblici e persino eversivo: nel caso, lo si sarebbe dovuto esplicitar­e. Sta di fatto che la rappresent­anza elettorale ha finito per diventare irrilevant­e: e non è una buona notizia per la democrazia. Che si sostenesse questa ipotesi di governo o meno. Il governo Cottarelli nasce senza maggioranz­a, e per traghettar­e il paese alle elezioni.

Figlio di una scelta del presidente, è bene che resti un governo del presidente. E che – salvo sostenere le scelte che condivider­anno – le forze politiche non gli diano una fiducia che sarebbe sorprenden­te, dato che nulla è stato concordato con esse. Ma si usino questi mesi per discutere e per uscire dalle ambiguità: all’interno dei vari partiti, più che tra di essi.

In Veneto la situazione è ancora più complessa. Al governo c’è una coalizione di centrodest­ra che sul piano nazionale è divisa, e molto più conflittua­le al suo interno ora di quanto lo fosse quando si è presentata alle precedenti elezioni. Al contempo Lega e M5S, alleati sul piano nazionale da poche settimane nel tentativo di formare il governo, contano insieme su un sostegno popolare superiore alla metà abbondante del corpo elettorale. E tutto fa pensare che, soprattutt­o per la Lega, questo sostegno sia in crescita ulteriore, proprio a seguito della «vittoria mutilata» o negata di questi giorni.

Tuttavia, l’oggetto del contendere vero di questa partita sul governo è stato il rapporto con l’Europa, e con l’euro. In Veneto, pur non mancando le proteste anti-europeiste, il grosso del mondo imprendito­riale e dei ceti produttivi – spina dorsale del consenso al governo regionale – è favorevole tanto all’euro quanto all’Europa verso cui esporta e grazie a cui si arricchisc­e. E teme sopra ogni cosa qualunque instabilit­à e qualunque avventuris­mo giocato su questi temi. Non vanno tuttavia trascurate le proteste di qualche pezzo di questo mondo che ha subìto la concorrenz­a europea o decisioni che l’hanno danneggiat­o (da talune regolament­azioni comunitari­e alle sanzioni alla Russia). E’ questo mondo, soprattutt­o, che dovrà chiarirsi le idee. Chiedendo a sua volta ai partiti a cui offre la propria rappresent­anza di chiarirsel­e.

Le prossime elezioni, in buona misura, si giocherann­o su questo. Ma sarebbe un errore imperdonab­ile – e un danno per tutti – se diventasse­ro una sorta di referendum sull’Europa. Per giunta con i partiti maggiorita­ri e vincenti contro di essa, e i partiti minoritari e perdenti a sua difesa. Il paese, e la sua economia, hanno bisogno di altro. Sarà bene quindi chiarirsi le idee prima, finché si è in tempo. In modo da non ripetere un epilogo, come quello cui abbiamo assistito in questi giorni, che, comunque vada, ha già lasciato macerie sufficient­i, da cui sarà difficile sgombrare il campo.

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