«Io, ex presidente degli architetti scagionato da accuse infamanti»
Parla l’architetto coinvolto con Giacino nel caso tangenti: «Vi racconto questi mesi tremendi»
Rischiava il VERONA rinvio a giudizio per «l’infamante accusa di concussione» ma quando il giudice Livia Magri, due giovedì fa, lo ha scagionato «perché il fatto non sussiste», Giancarlo Franchini ammette di «non essere riuscito a trattenere le lacrime». Classe 1958, da giugno 2017 a capo dell’Ordine degli architetti di Verona, si è ritrovato sui titoli di cronaca giudiziaria a partire dal 19 gennaio 2018,coinvolto con l’ex vicesindaco Vito Giacino nell’inchiesta sulle presunte mazzette sull’ex Tiberghien: «Mesi terribili».
Rischiava il rinvio a VERONA giudizio per «l’infamante accusa di concussione» ma quando il giudice Livia Magri, due giovedì fa, lo ha scagionato «perché il fatto non sussiste», Giancarlo Franchini ammette di «non essere riuscito a trattenere le lacrime». Classe 1958, da giugno 2017 a capo dell’Ordine degli architetti di Verona, si è ritrovato sui titoli di cronaca giudiziaria a partire dal 19 gennaio 2018,coinvolto con l’ex vicesindaco Vito Giacino nell’inchiesta sulle presunte mazzette denunciate dal costruttore Alessandro Arcamone sull’ex Tiberghien. Come sta, ora, architetto?
«Ero certo di essere completamente estraneo da quella terribile accusa e che la mia condotta verso il mio ex cliente Arcamone e verso il Comune (costituito parte civile,
ndr), è sempre stata improntata al rispetto dell’etica professionale e delle leggi».
Lei si è dimesso da presidente dell’Ordine il 26 gennaio 2018, senza neppure attendere la sentenza del giudice.
«Questi ultimi quattro mesi mi sono costati parecchio, sia a livello personale che professionale. Dimettermi da presidente dell’Ordine, dal Consiglio e da presidente del Comitato Unitario delle Professioni non sono state scelte facili». Quanto le è costato?
«Sono state decisioni sofferte, ma che ho ritenuto indispensabili per sentirmi più libero nel difendermi senza alcun coinvolgimento dell’istituzione che rappresentavo e a tutela di tutti gli iscritti all’Ordine.Determinante per decidere è stato il confronto con i colleghi del Consiglio». Le sono rimasti sassolini nelle scarpe da togliersi?
«Oggi, dopo la sentenza, mi sento libero e in dovere di precisare alcune cose.In primo luogo il mio detrattore Arcamone ha sempre asserito, probabilmente con il solo fine di creare grande cassa di risonanza, che con il suo intervento intendeva riqualificare l’ex Tiberghien, apportando degli importanti benefici per il territorio circostante. In realtà l’area su cui intendeva intervenire
e della quale era proprietaria la società che rappresentava, non è l’ex Tiberghien». Vuole essere più preciso?
«È un’area prospiciente via Tiberghien, sul lato opposto all’area appunto occupata dall’ex lanificio, di circa 1.950 metri quadrati, circa un quarto di un campo da calcio, con soprastante l’ex cabina Enel. Invece la vera area dell’ex Tiberghien copre un’area pari a sei volte un campo da calcio, 24 volte tanto». Vuole precisare ancora qualcosa, architetto? «In secondo luogo i rapporti tra il sottoscritto e Arcamone quale rappresentante della società proprietaria dell’area, iniziati nell’estate del 2011, sono sempre stati chiari e alla luce del sole. L’incarico che mi fu conferito, fu preventivamente concordato, redatto poi dallo stesso mio ex cliente e da me sottoscritto per accettazione. Incarico che prevedeva dei regolari pagamenti in funzione dell’avanzamento dell’attività professionale condotta e proporzionato ai risultati e all’impegno intellettuale e professionale messo in campo per ottenerli». Ma poi cos’è accaduto? «Lo stesso vale per l’accordo
transattivo che sottoscrivemmo nell’aprile del 2013, assistiti dai nostri reciproci legali, quando, riconoscendo le sue sopraggiunte difficoltà economiche, accettai una diversa formula di pagamento, molto meno vantaggiosa per me rispetto all’originario incarico». Dopodiché?
«Dopo diversi anni, nel 2017, lo contattavo per proporgli un compratore e riprendere l’attività professionale, nella speranza di incassare qualcosa dei compensi dovutimi. Da qui poi, gli sviluppi giudiziari che mai e poi mai avrei nemmeno lontanamente immaginato». Lei ora rischia un’indagine per millantato credito.
«Per gli aspetti che residuano della vicenda giudiziaria, che ritengo marginali, sono fiducioso che avrò modo di chiarire nella sede opportuna con l’aiuto dei miei legali. Comunque oggi mi sento decisamente più leggero, anche se la vicenda non è completamente conclusa». Chi le è stato più vicino?
«Un grazie maiuscolo alla mia famiglia che ha saputo erigere un muro invalicabile attorno a me davanti a chi mi aveva già giudicato.E un grazie agli avvocati Luca Galizia e Marco Panato che, oltre che assistermi egregiamente, hanno saputo consigliarmi e, spesso frenarmi, nel gestire le emozioni».