Voleva l’indennità di maternità: il Tar decide dopo 28 anni
La presidente della Letteraria: «Era il 1990, è stata una battaglia di diritto»
La «bambina» citata nella sentenza pubblicata giovedì scorso dal Tar del Veneto, a luglio compirà 28 anni. Ma la madre non ha in programma festeggiamenti particolari, nonostante i tremila euro che i giudici veneziani le hanno riconosciuto, condannando il Comune di Sona a versarle l’indennità di maternità dei cinque mesi, maturata nel lontano 1990.
Un caso emblematico di «tempi lunghi» della giustizia, anche se la diretta protagonista invita ad analizzare la sua personalissima Odissea giudiziaria da un altro punto di vista. «Si è trattato dell’affermazione della tutela del sacrosanto diritto ai cinque mesi di congedo della maternità - spiega al telefono Daniela Brunelli -. Un diritto che va ribadito soprattutto oggi, per tutte le donne. Un Paese che non tutela le madri, è un Paese senza futuro».
Di istituzioni, la professoressa Brunelli, se ne intende perché dopo quell’impiego da precaria alla biblioteca comunale di Sona ha fatto carriera arrivando a dirigere la biblioteca universitaria Frinzi (oltre alle biblioteche del polo umanistico, economico e giuridico dell’Ateneo scaligero) e a presiedere la Società Letteraria. «Ma la mia è stata l’azione di una cittadina qualsiasi per affermare un principio», puntualizza la professionista che si è fatta assistere dall’avvocato Franco Balbi in tutta la sua battaglia.
Era l’estate del 1990: la Germania Ovest aveva appena conquistato la finale dei Mondiali all’Olimpico di Roma, Francesco Cossiga sedeva al Quirinale e Sergio Mattarella era il ministro della Pubblica Istruzione del governo Andreotti. Un’altra epoca. «All’epoca di cessazione del rapporto di lavoro la ricorrente era in stato di gravidanza ed infatti (nel luglio 1990, ndr) diventava madre di una bambina» ricorda il Tar. A maggio (il contratto era terminato due mesi prima) aveva inoltrato all’Inps domanda per il riconoscimento dell’indennità economica di maternità, «ma l’ente replicava che tale pagamento doveva essere richiesto al Comune datore di lavoro».
Peccato che anche il Comune le aveva risposto picche, costringendola di fatto a ricorrere al Pretore del lavoro (esisteva ancora all’epoca) che «accertata la fondatezza della pretesa della ricorrente, condannava l’Inps al pagamento in suo favore dell’importo di lire 6.310.293».
Tutto finito? Nemmeno per sogno, perché da quel momento per l’ex dipendente sarebbe iniziata una vera e propria battaglia a prova di prescrizione. «La documentazione versata in atti comprova l’esistenza di molteplici atti interruttivi del corso della prescrizione che impediscono di ritenere maturata la fattispecie estintiva invocata» scrivono i giudici lagunari. Il verdetto del Pretore era stato impugnato davanti al Tribunale che aveva confermato la condanna all’Inps. Ma nel 1996 La Cassazione ribaltava tutto: «Il soggetto tenuto alla corresponsione del trattamento economico di maternità doveva individuarsi nel Comune datore di lavoro».
Peccato che, di scucire i soldi, dall’ente di piazza Roma non è mai arrivato alcun segnale. E così (era il 1998 e la bambina aveva già compiuto otto anni) Brunelli aveva deciso di rivolgersi al Tar. Ricorso accolto, 28 anni dopo.