Spunta Fontana a palazzo Barbieri. Dimissioni a fine settimana
Ma sui gay e famiglia anche l’ex amico Tosi lo attacca. L’autodifesa: «La rivolta delle élite non ci spaventa»
Il ministro arriva all’ora di pranzo. Lorenzo VERONA Fontana è tornato a Palazzo Barbieri, attorno alle 13 di ieri, prima di partire per Roma dove, già dalle 16, aveva un’agenda ingolfata di riunioni. Molte congratulazioni e sorrisi, strette di mano, un colloquio col sindaco Federico Sboarina. Ma almeno per il momento, niente dimissioni da vicesindaco. Fontana sorride e scherza («Qui sono in pieno relax», dice al cronista, mostrando anche un look decisamente informale, pantaloni e camicia scura).
Le dimissioni da vicesindaco: si pensava arrivassero già ieri, e invece il ministro spiega che «probabilmente ne parleremo nel prossimo fine settimana, non mi pare vi siano urgenze particolari. Ho già tante grane a Roma...». Ed in effetti, attorno a lui continua la bagarre, dopo le sue dichiarazioni sui temi scottanti della famiglia e del mondo gay. Ad attaccarlo frontalmente, tra gli altri, anche Flavio Tosi, che per anni aveva lavorato assieme al neoministro e che ne aveva, tra l’altro, celebrato il matrimonio.
«Con lui siamo stati amici, fu un bel momento – ricorda Tosi alla trasmissione radiofonica ‘Un giorno da pecora’ – e a dire il vero non abbiamo litigato, si sono solo rotti i rapporti personali. Cosa ne penso delle affermazioni di Fontana sulle famiglie arcobaleno, che a suo avviso non esistono? Penso che esistano, dire che non esistono persone delle stesso sesso che vivono insieme e si vogliono bene è oscurantismo - ha spiegato Tosi – e significa solo negare la realtà dei fatti».
L’autodifesa di Fontana arriva con una lettera inviata al quotidiano Il Tempo. Fontana sostiene che «è in atto un forte tentativo di attacco non solo nei miei confronti, ma contro i valori in cui la maggioranza silenziosa e pacata del Paese si rispecchia». Il ministro cita lo scrittore cattolico Gilbert Keith Chesterton («Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate») e spiega di avere «affermato cose che pensavamo fossero quasi scontate: che un Paese per crescere ha bisogno di fare figli, che la mamma si chiama mamma (e non genitore 1), che il papà si chiama papà (e non genitore 2). Abbiamo detto – aggiunge - che gli ultimi e gli unici che devono avere parola su educazione, crescita e cura dei bambini sono proprio mamma e papà. È partita così – scrive Fontana - un’accanita raffica di insulti, offese, anche personali, minacce (che saranno portate all’attenzione degli uffici competenti), ma la rivolta delle élite non ci spaventa. Mai come in questo momento – conclude - battersi per la normalità è diventato un atto eroico».