Impegno e lirica, luci sull’Arena
La nuova Carmen accende la stagione. Il ministro Bonisoli: «Sosterremo la Fondazione»
La magia di Carmen. L’iniziativa della poltrona vuota con 32 rose rosse a ricordare gli altrettanti femminicidi da inizio anno a oggi. L’arrivo del nuovo ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, che dice: «Siamo qui per occuparci della Fondazione Arena e darle più struttura e permanenza, auspico la conferma dell’Art Bonus, vedo nella cultura l’elemento del turismo che più crescerà». Questo e altro ieri nel debutto del festival lirico 2018.
Le rose rosse, annunciate alla vigilia dalla neo sovrintendente Cecilia Gasdia, come monito contro i femminicidi. La trasposizione che sposta in avanti di un secolo la linea temporale. Non più il romantico (e il disincantato) Ottocento, ma un cupo Novecento preludio dell’era dei totalitarismi. Carmen come un’anarco-sindacalista, Escamillo e comprimari come combattenti del Poum, Don José e Zuniga falangisti? Dato che arie e recitativi non cambiano, è l’abito a fare il monaco, e ogni interpretazione è aperta alla fantasia dello spettatore. Fatto sta che la serata della prima, con l’opera di Bizet, è sembrata fin da subito all’insegna dell’impegno civile. Anche le prime parole di Gasdia hanno un’impronta «sociale»: «Il novantaseiesimo festival è reso possibile dell’impegno dei lavoratori della Fondazione», il suo discorso d’apertura prima del ricordo del maestro Tullio Serafin, figura centrale della storia della lirica veronese, scomparso cinquant’anni fa. Il volto del direttore d’orchestra, tra i primi a incidere su disco la grande opera, compare negli schermi per i sopratitoli, ampliati e adesso anche a colori. Prima dell’entrata dei toreri c’è anche la lettura della lettera del presidente Mattarella, non senza qualche sospiro infastidito da parte del pubblico quando dall’altoparlante arriva anche la traduzione in tedesco. I tempi si allungano con l’inno di Mameli, che risuona per la prima volta negli ultimi anni, volontà della nuova gestione, con tanto di sventolare di bandiere, sempre sugli schermi.
Una liturgia che salta un passaggio, l’accensione delle candele, pur ricordate da un avviso: forse a complicare le cose è stato il vento. Alle 21,30 l’ouverture, con una scena dominata da jeep arrugginite. Il primo personaggio, Micaela, entra conducendo una bicicletta, da vera pasionaria.La rilettura «femminista» era stata annunciata da Hugo De Ana, che firma il nuovo allestimento: «Carmen è una donna che vuole essere stessa» aveva affermato il regista argentino, che per la prima volta ha affrontato quest’opera. E la Spagna degli anni ’30 gioca particolarmente con questa suggestione, che richiama il carattere forte dei personaggi femminili di «Per chi suona la campana». «In quel contesto - aveva sottolineato De Ana - per la prima volta la donna è libera, può votare, crea sindacati, si arruola nelle milizie che combatteranno il franchismo».
Del resto, già nel decennio precedente, in terra iberica, Carmen era diventata un simbolo di indipendenza e di emancipazione. Applaudita già al termine dell’aria «L’amour est un oiseau rebelle», celeberrima habanera, la Carmen Anna Goryachova, russa di San Pietroburgo, al suo debutto in assoluto in anfiteatro. Apprezzate le performance delle soprano Mariangela Sicilia, nei panni di Micaela e di Ruth Iniesta, che ha interpretato Frasquita.A completare il cast, il don José Brian Jagde e Alexander Vinogradov, con la parte di baritono per Escamillo. A dirigere il coro Francesco Ivan Ciampa, con l’importante contributo delle voci bianche dirette da Paolo Facincani, che conquista il pubblico già dalla scena della marcia dei
Mattarella e Mameli Prima dell’opera, il messaggio del Presidente e l’inno nazionale, che risuona per la prima volta da anni E Gasdia ringrazia i lavoratori
soldatini. Fa la sua comparsa anche il gioco di specchi promesso da De Ana: «l’Arena nell’Arena»: una Plaza de Toros ricreata con dei pannelli di legno al centro del palcoscenico, con tanto di toro stramazzato sul finale.Con il nuovo allestimento, la Carmen ha rafforzato la sua presenza sul podio, immediatamente dopo l’opera areniana per eccellenza, l’Aida, al festival lirico. Nella storia ultracentenaria dell’appuntamento estivo, si contano oltre duecento repliche, ventisei «prime» e quattordici diversi allestimenti. Già agli albori, nella seconda edizione del 1914, toccò proprio alla sigaraia di Bizet aprire le danze. L’opera era stata scelta come apertura del Festival lirico due anni fa. Altri tempi: è stata l’edizione dell’austerity per eccellenza e si puntò sull’«usato sicuro». Quello, tanto per capirci, di Zeffirelli. Una versione monumentale e barocca, tipica del gusto del regista fiorentino: un kolossal, con una scenografia classica e costumi tipicamente andalusi. Identica musica e libretto, ma quasi un altro mondo.