Venete, un anno dopo la liquidazione ancora aperti i nodi rimborsi e credito
Il governo: due strade per i soci. Il prefetto di Treviso convoca Sga e associazioni
Ex popolari, è già passato un anno dallo choc della liquidazione di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Ma i nodi rimborsi ai soci e credito restano ancora sul tavolo. Il governo che approva, di domenica, il 25 giugno, un decreto d’urgenza. I commissari liquidatori che prendono in consegna dai cda quel che resta delle banche. Le filiali che riaprono il lunedì sotto le insegne di Intesa, dopo il contratto con cui il colosso bancario si prende le attività «buone». «Salvando cinquanta miliardi di risparmi, diecimila dipendenti e il credito di 200 mila aziende», come ha ricordato l’Ad Carlo Messina la scorsa settimana a Marghera, all’assemblea di Assindustria Veneto. Senza contare i 10 miliardi di bond garantiti dallo Stato per dare liquidità d’emergenza alle due banche che sarebbero evaporati con la risoluzione.
Ma se i guai peggiori, dopo il no Ue alla fusione Bpvi-Veneto Banca erano stati evitati, restano in compenso ancora da risolvere i problemi accantonati un anno fa. Per primo, i risarcimenti ai soci per le azioni azzerate. Il contratto che trasferiva le attività «buone» ad Intesa e il decreto di liquidazione hanno bloccato le cause e la possibilità di rivolgerle a Intesa. Ma è stato come voler fermare un fiume in piena: il rischio di veder travolte le difese resta. La prima breccia l’ha aperta il giudice per le indagini preliminari Lorenzo Ferri, che prima di spedire il processo Veneto Banca da Roma a Treviso aveva permesso di chiamare Intesa in causa come responsabile civile. Risultato: si moltiplicano le singole cause civili di soci contro Intesa, che richiamano quella decisione; e Intesa congela il fondo da cento milioni, che doveva intervenire su 30 mila casi sociali, finché non arriverà un pronunciamento che sollevi la banca delle responsabilità.
A questo punto la palla passa al governo Conte, che tra i primi atti aveva ricevuto proprio le associazioni dei soci. Dopo lo stop al decreto attuativo del fondo impostato dal governo Gentiloni, tarato sul ristoro dei soci truffati nella compravendita delle azioni, il nuovo esecutivo deve decidere che fare. E non aiuta la spaccatura verticale tra il cartello delle associazioni di soci e consumatori che avevano sostenuto il fondo e ne chiede l’attuazione, spendendo i 25 milioni a disposizione, e il no del Coordinamento don Torta guidato da Andrea Arman e di «Noi che credevamo» di Luigi Ugone.
«Ne abbiamo parlato venerdì scorso con il ministro Tria nella prima riunione con viceministri e sottosegretari - dice il sottosegretario leghista al ministero dell’Economia, Massimo Bitonci, che rimanda a dopo la prossima settimana, quando il governo dovrà varare altri provvedimenti -. Due le strade possibili. O applicare il decreto, che però non piace a
Bitonci
O si applica il decreto o si riscrive allargando la platea dei risarciti
Puschiasis
Chiediamo al prefetto un osservatorio con Banca d’Italia
buona parte dei risparmiatori truffati, o riscrivere tutto ampliando la platea dei risarciti. Cercando di distinguere tra chi aveva effettuato investimenti consapevoli da chi ha acquistato azioni come fossero titoli garantiti. E tarando i risarcimenti sul danno rispetto al valore d’acquisto. Io personalmente sarei poi favorevole a detrazioni fiscali da spalmare in più anni; almeno per chi abbia un reddito che lo permetta». Soluzioni su cui non mancano i dubbi. «Ben venga qualsiasi soluzione. Ma questa strada in altri casi, vedi la crisi della friulana Coopca, era stata considerata come aiuto di Stato», sostiene Barbara Puschiasis, dell’associazione friulana Consumatori attivi.
Che intanto si prepara al secondo vertice sui problemi del credito dopo la fine delle due ex popolari, convocato a Treviso giovedì prossimo dal prefetto, Laura Lega, con la Sga. Sul tavolo le associazioni porranno il caso dei prestiti concessi a tassi iper-agevolati, in sostituzione delle azioni impossibili da vendere. Prestiti di cui Sga, la società del Tesoro che deve gestire i 18 miliardi di crediti deteriorati ereditati dalle venete, sta chiedendo il rientro. «Non dovevano transitare dalle liquidazioni alla Sga - aggiunge la Puschiasis -. Chiederemo di attivare di un osservatorio con prefetture e Bankitalia. La soluzione potrebbe essere di sospendere le procedure esecutive fino a fine liquidazione».
Solo uno dei capitoli rilevanti sui crediti difficili. In ballo non c’è solo la gestione delle 25 mila imprese con i crediti in difficoltà in mano alla Sga. C’è in arrivo anche la nuova tranche di crediti in bonis ad alto rischio che Intesa retrocederà a luglio alle liquidazioni. «Poca cosa», aveva detto Messina a Marghera. Una cifra sui 250-300 milioni, secondo indiscrezioni, che si aggiungeranno ai 350 già retrocessi a gennaio. Il problema è che il decreto di liquidazione legava l’operazione a una garanzia fino a 4 miliardi, che lo Stato non ha ancora firmato. Con il rischio reale che per le aziende rispedite indietro si apra il limbo di chi si trova a non essere seguito da nessuno.