Banche, a Verona ha chiuso uno sportello su quattro
Duecento in meno in dieci anni. E non è finita
Nel 2008 c’erano nel Veronese un numero record di 745 sportelli bancari. Dieci anni dopo, al 31 dicembre 2017 erano 574, quasi duecento in meno. Unicredit segnala che la grande maggioranza delle operazioni di cassa vengono ormai svolte agli sportelli automatici. Ma il risvolto sociale è che interi quartieri e paesi restano senza filiali, magari senza nemmeno un bancomat. «Va ricostruito un nuovo patto con il territorio», dice il sindacato dei bancari. Come farlo, però, è ancora un mistero.
Per molti anni, le filiali delle banche sono apparse una parte immutabile del tessuto commerciale delle città e dei quartieri. Poi hanno iniziato a chiudere, senza venire rimpiazzate. E lì sono iniziati i problemi. Quando in via Todeschini, in Borgo Trento, ha abbassato le serrande la filiale della Popolare di Vicenza poco prima della grande crisi che ha portato alla cancellazione stessa dell’istituto, è arrivata al suo posto una contestatissima sala slot (è durata poco: oggi ne ha preso il posto un market cinese). Quando, nel quartiere di Ponte Catena, hanno chiuso nel giro di poco tempo le filiali di Unicredit e Banco Popolare i residenti in gran parte anziani si sono sentiti improvvisamente isolati. La questione è particolarmente sentita in provincia: gli abitanti di Casette, frazione di Legnago, hanno promosso una petizione per chiedere alle Poste almeno la riapertura di un bancomat.
I dati recentemente elaborati dalla Banca d’Italia inquadrano il fenomeno con la precisione dei numeri. Nel 2008, l’anno in cui è scoppiata la grande crisi globale innescata dal fallimento di Lehman Brothers e dallo scoppio della bolla dei mutui subprime, c’erano nel Veronese un numero record di 745 sportelli bancari. Dall’anno successivo, prima alla chetichella, poi con una tendenza sempre più marcata, gli sportelli hanno iniziato a calare. Al 31 dicembre 2017 erano 574, quasi duecento in meno. Quasi uno su quattro ha chiuso. Quanto succede a Verona, per altro, si riflette in tendenze più generali: gli sportelli sono calati in proporzioni simili in Veneto (da 3.666 a 2.801) dove, spiega Banca d’Italia nel suo recente report sull’economia della regione, «il livello di bancarizzazione, pari a 57 sportelli ogni 100.000 abitanti, rimane comunque superiore rispetto alla media nazionale». In Italia, in dieci anni, gli sportelli sono calati da 34.130 a 27.374.
È una tendenza che pare inarrestabile. «Nel prossimo biennio 2018-19 prevediamo la chiusura di almeno altri 30 sportelli nella sola provincia di Verona», dice Marco Muratore, segretario provinciale della Fabi, il più rappresentativo sindacato dei bancari (ma che interviene anche a nome dei colleghi di Fisac Cgil, First Cisl e Uilca). «È un fenomeno che storicamente interessa di più i grandi gruppi, dove si ragiona ormai quasi esclusivamente sulla logica dei numeri e gli sportelli che non garantiscono una redditività soddisfacente in termini di rapporto tra impieghi e commissioni vengono chiusi – continua Muratore – ma sentiamo voci di prossime chiusure anche di sportelli delle Bcc, i cui sportelli sono talvolta l’ultimo presidio su alcuni territori».
C’entra la crisi, certo, la necessità di ridurre i costi. Ma, ancor più di questo, un cambiamento epocale delle abitudini degli utenti. Unicredit, che ha in corso un importante piano di riorganizzazione della propria rete commerciale, fa sapere che, per quanto riguarda la sua clientela, «oggi a Verona il 97% dei prelievi viene effettuato tramite canali evoluti, così come il 95% dei bonifici, il 90% dei pagamenti e l’84% dei versamenti». Ciò vuol dire che la stragrande maggioranza non si reca più in filiale per l’ordinaria amministrazione. Non solo i prelievi, che da tempo sono effettuati ai bancomat, ma anche i bonifici e i pagamenti, dove ha preso piede l’home banking utilizzabile comodamente anche dagli smartphone. Ancora Banca d’Italia segnala che «il numero di contratti di internet banking in rapporto alla popolazione residente in Veneto è ulteriormente incrementato nell’ultimo anno, raggiungendo il 54,2 per cento». Perfino i versamenti sui conti seguono questa strada: chi per la propria attività maneggia molto contante, in particolare commercianti, ha ormai imparato a servirsi degli sportelli bancomat evoluti dotati di «totem multifunzione» e «Aree Self», che permettono di effettuare in autonomia le principali operazioni di cassa.
In questo contesto, quale futuro resta per le filiali bancarie, dove ormai la maggior parte degli utenti entra solo su appuntamento per una consulenza sul mutuo o sui propri investimenti? Secondo Muratore, «va ricostruito un patto con il territorio», certo su nuove basi rispetto a quello diventato sinonimo di pratiche creditizie poco trasparenti, basate più sull’amicizia e sulla vicinanza, rispetto a criteri oggettivi, con tutti i problemi che ne sono derivati. Piuttosto, dice il sindacalista, «va ricostruita una fiducia, basata sulla conoscenza del cliente, sulla tutela delle fasce deboli che hanno difficoltà ad usare la tecnologia, mantenendo quanto di buono è stato fatto in passato». Come tutto questo si traduca, concretamente, in una presenza il più possibile capillare delle filiali sul territorio, è una sfida dall’esito ancora incerto.
Marco Muratore (Fabi)
Non solo grandi gruppi, anche le Bcc inizieranno a chiudere le filiali. Va ricostruito un patto con il territorio