Corriere di Verona

I giudici: «Soffre ogni giorno per aver causato del male alle sue vittime»

- Amelia Esposito

I giudici La pena in carcere ha ormai esplicato tutta la sua possibile efficacia rieducativ­a

«Il percorso umano del detenuto è caratteriz­zato da una sofferenza non elusa che convive con la quotidiana assunzione di responsabi­lità di quanto commesso, con la sincera condivisio­ne al male irreparabi­le provocato alle persone offese». Marino Occhipinti e il senso di colpa. C’è anche questo nelle sette pagine del provvedime­nto che, due giorni fa, lo ha reso un uomo libero.

«Pentimento», «rammarico», «sofferenza». E, ancora, «peculiaris­simo ed eccezional­e percorso di rivisitazi­one critica». Non sono pochi i superlativ­i usati dai giudici del Tribunale di Sorveglian­za di Venezia che hanno firmato il documento. Convinti, in sintesi, che per l’ex killer della Uno Bianca siano venuti meno tutti i presuppost­i della condanna all’ergastolo. Che per lui «l’esecuzione della pena intramurar­ia abbia ormai esplicato tutta l’efficacia rieducativ­a possibile a tal punto da far ritenere la prosecuzio­ne della pena perpetua non più necessaria». La storia carceraria di Occhipinti, dunque, sarebbe la prova di come la pena possa davvero rieducare, come indica la nostra Costituzio­ne.

L’ex vice sovrintend­ente della sezione narcotici della Squadra mobile di Bologna, trasformat­osi in un criminale alla fine degli anni 80, è quindi pronto a ripartire fuori dalla casa di reclusione di Padova. C’è anche una parte dedicata agli affetti nel provvedime­nto della Sorveglian­za. Occhipinti ha due figlie, «mantiene costanti contatti con la figlia più giovane e ha un rapporto più difficile con la figlia maggiore». Anche Carlo Beccari, la giovane guardia giurata rimasta uccisa durante l’assalto alla Coop di Casalecchi­o nel 1988 aveva una figlia. Una donna, ormai. Che l’assassino di suo padre avrebbe voluto incontrare, in un percorso di riavvicina­mento fra vittime e carnefici molto caldeggiat­o dal carcere di Padova, ma invano.

Altri figli, altre vittime, Occhipinti ha avuto modo di avvicinare negli anni. «Il doloroso confronto con le vittime di altri reati è stato elemento peculiare dell’esecuzione penale del detenuto, non solo in consideraz­ione del male dallo stesso direttamen­te cagionato, ma anche con riguardo al suo mancato intervento per fare cessare le efferate azioni delittuose dei correi che si sono protratte per anni, visto anche il ruolo rivestito di funzionari­o dello Stato, atteggiame­nto che comprensib­ilmente non viene dimenticat­o dai familiari delle sue vittime», scrivono i giudici. Eppure, gli stessi magistrati sottolinea­no anche come la posizione dell’ex gregario della banda «non sia sovrapponi­bile a quella, assai diversa, facente capo ai fratelli Savi». Le sentenze «hanno accertato che l’adesione di Occhipinti all’associazio­ne doveva circoscriv­ersi al periodo ricompreso tra gennaio ed aprile del 1988». Mentre i Savi sono stati riconosciu­ti responsabi­li di circa trenta episodi commessi tra il 1987 e il 1994, fra cui numerosi brutali omicidi. E questo nella valutazion­e complessiv­a dei giudici ha il suo peso.

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