Da factotum in Fiera a ministro: ascesa sovranista
«Le famiglie arcobaleno non esistono», «No al riconoscimento dei figli da maternità surrogata», «Aboliamo la legge Mancino»: Lorenzo Fontana ha fino ad ora dato ragione a chi, come il giornale on line Il Post, lo ha definito il ministro «più a destra del governo Conte». Fontana, tuttavia, probabilmente non è d’accordo con questo incasellamento: da tempi non sospetti, da ben prima che i populisti arrivassero al potere in Italia e altrove, teorizza che destra e sinistra non esistono più, che la vera faglia ideologica del mondo che viviamo è quella tra movimenti identitari e globalisti, tra popolo e élite.
È una convinzione che Fontana matura nei suoi due mandati da europarlamentare a Bruxelles dove, quando vi arriva nemmeno trentenne per la prima volta nel 2009 sulla spinta delle preferenze che gli fa accordare il suo mentore di allora, Flavio Tosi, è un semisconosciuto consigliere comunale di Verona e, prima, della circoscrizione terza, che comprende il quartiere popolare dove è cresciuto, il Saval. Leghista da sempre, sulle orme di un padre militante, ha un modesto impiego (factotum a disposizione della direzione tecnica operativa) alla Fiera cittadina, di cui è tutt’ora dipendente in aspettativa. È cattolicissimo, frequenta gli ambienti tradizionalisti, è attivo nei Giovani Padani, è super tifoso dell’Hellas. Insomma, un leghista come tanti, almeno a Verona.
L’incontro che gli cambia la vita è quello con Matteo Salvini, suo compagno di scranno all’Europarlamento e, per qualche tempo, pure di casa nei sobborghi della capitale belga. L’oggi leader della Lega è, in quel momento, poco più che un esuberante consigliere comunale milanese, noto più che altro come speaker di Radio Padania. Fontana è il suo esatto opposto: ama stare dietro le quinte, non insegue la cronaca ma preferisce discutere di «alta politica», di grandi tendenze, di scenari globali. Divora libri su libri (già laureato in Scienze politiche, nel frattempo si iscrive anche a Storia della Civiltà cristiana all’Università Europea di Roma) e intrattiene rapporti con il variegato mondo degli euroscettici, dai più considerati pariah politici.
Bruxelles, che molti parlamentari italiani ritengono un cimitero degli elefanti (magari il proprio), è per Fontana un grande laboratorio politico. Capisce che la Lega ha davanti praterie se cambia pelle, non convergendo al centro (come sostiene, a quel tempo, Tosi) ma radicalizzandosi: l’alleanza con il Front National di Marine Le Pen, di cui Fontana è il regista, è il primo vero passo della metamorfosi del Carroccio, da partito federalista e nordista, a sovranista e identitario, sulle orme dei vari Putin, Trump, Orbàn.
Quando Salvini diventa segretario della Lega, chiama immediatamente Fontana al suo fianco come vice. È ormai diventato un buon oratore da sguinzagliare nei talk show in tv e in radio (è amico del conduttore de La Zanzara, Giuseppe Cruciani), ma anche un uomo di mondo: tra le altre cose, ha sposato una funzionaria dell’Europarlamento napoletana (la celebrazione religiosa svolta con rito tridentino, quella civile officiata da Tosi con Salvini testimone: era il 2013), ed è diventato padre di una bambina. Il calo demografico - e con esso il rischio di una «sostituzione etnica» favorita dall’immigrazione incontrollata - diventa una sua ossessione. Ci scriverà anche un pamphlet, «La culla vuota della civiltà», a quattro mani con l’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi: a leggerlo vi si trova, di fatto, il suo programma da futuro ministro della Famiglia.
Ad oggi, il suo più grande successo politico ha un che di «freudiano»: l’uccisione (simbolica) del proprio padre politico, Flavio Tosi. Espulso dalla Lega nel 2015, Tosi ha la grande chance di rivincita nel 2017 quando, candidando la propria compagna Patrizia Bisinella, sfida il centrodestra ufficiale a trazione leghista in una battaglia all’ultimo voto alle elezioni comunali di Verona. Vince però Federico Sboarina, che Fontana impone alla coalizione anche a costo di scontentare i leghisti, facendo emergere il suo lato pragmatico, di grande tessitore e stratega. Ci vede giusto anche quando ipotizza, tra i primi, una alleanza tra Lega e Cinque Stelle. L’approdo al governo è una naturale conseguenza, così come lo sono le polemiche per le sue intemerate contro il «pensiero unico». Né improvvisatore, né improvvisato: definirlo semplicemente «di estrema destra» pare davvero riduttivo.