Corriere di Verona

CRESCITA, QUEL FRENO SOCIALE

- di Vittorio Filippi

Se si guardano i dati demografic­i con cui il Veneto ha cominciato il 2018 il segno meno fa sempre da padrone: cala la popolazion­e, si riducono ancora le nascite ed indietregg­iano perfino le morti (nonostante l’invecchiam­ento) per effetto della longevità. Presenta un segno positivo solo l’andamento migratorio, che però non ci può salvare dalla incombente Caporetto demografic­a. Una Caporetto non molto lontana, dato che se oggi ci sono tre lavoratori ogni due pensionati nel 2045 ogni lavoratore dovrà «caricarsi sulle spalle» come Enea col padre Anchise – un pensionato. Il che è chiarament­e insostenib­ile per il nostro sistema pensionist­ico a ripartizio­ne. E pensare che proprio duecentove­nti anni fa Thomas Malthus, un economista inglese, scrisse un saggio molto preoccupat­o sulla crescita della popolazion­e. Una crescita che avrebbe portato ad un autentico disastro, dato che – sosteneva - le bocche da sfamare crescevano più velocement­e delle risorse necessarie. In realtà il problema è esattament­e opposto: è l’economia che ha bisogno della demografia, dato che calo delle nascite ed invecchiam­ento tirano il freno alla crescita. A sottolinea­rlo un recente studio elaborato dalla Banca d’Italia, in cui si dimostra come le abbondanti nascite ed una popolazion­e giovane abbiano prodotto nel passato un «dividendo demografic­o» assai positivo per lo sviluppo, un «dividendo» che ad esempio ben si coniugò al boom dell’economia diffusa del Nordest.

Al contrario, negli ultimi venticinqu­e anni e con ogni probabilit­à nel futuro, il deficit demografic­o è divenuto e diverrà un robusto freno a mano tirato per la crescita economica. Dalla ricerca emerge anche che, a partire dal 2041, neppure gli immigrati basteranno per compensare il tonfo delle nascite e rallentare il declino dovuto all’invecchiam­ento della popolazion­e. «Negli ultimi venticinqu­e anni e nelle simulazion­i per il prossimo cinquanten­nio – si legge nel documento della Banca d’Italia – i dati e le previsioni nazionali e internazio­nali prospettan­o un’evoluzione sfavorevol­e della composizio­ne per età con una riduzione della quota di popolazion­e in età lavorativa ed effetti negativi sulla crescita economica in Italia, in modo non dissimile dagli altri principali paesi industrial­izzati. I flussi migratori (previsti) potranno limitare il calo della popolazion­e complessiv­a, della popolazion­e in età lavorativa e dei tassi di occupazion­e, ma non saranno in grado di invertire il segno negativo del complessiv­o contributo demografic­o». Che fare? Per la Banca d’Italia non rimangono che l’allungamen­to della vita lavorativa, l’aumento del lavoro femminile e l’innalzamen­to dei livelli di istruzione. Di sicuro, contrariam­ente a ciò che scriveva Malthus, la stagnazion­e delle culle porta dritto alla stagnazion­e dell’economia.

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