Cassa integrazione La proposta Di Maio per 300 aziende venete
Ferrari (Cgil): «Strumento utile, ma le coperture?»
Torna la cassa integrazione TREVISO straordinaria per cessazione di attività. Questa pare essere per lo meno l’intenzione del governo, il cui ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha annunciato la reintroduzione dello strumento cancellato dal governo Renzi nel 2015, come misura transitoria per coloro che si ritrovano senza occupazione e in attesa che veda la luce il reddito di cittadinanza. Con l’introduzione del Jobs act sono stati infatti introdotti criteri più stringenti che hanno reso disponibile solamente alle aziende in crisi, in fase di ristrutturazione o che stavano già facendo ricorso ai contratti di solidarietà ed escludendo così quelle che invece avevano cessato la propria attività o ceduto un ramo.
Stando ai dati diffusi recentemente da Veneto Lavoro, tra il gennaio 2017 e il marzo 2018 sono state 593 le aziende venete interessate da un evento di crisi, 314 quelle che non hanno usufruito di Cigs e con licenziamento collettivo. La maggior parte di esse (140) sono attive nel settore metalmeccanico e in quello del made in Italy (127). Per ciò che riguarda la distribuzione territoriale, il numero maggiore di imprese coinvolte (86) hanno sede legale in provincia di Vicenza, 83 in quella di Treviso, 76 di Padova, 68 in provincia di Verona, 65 di Venezia, 14 di Rovigo e 7 di Belluno. Le restanti 194 hanno invece sede legale in un’altra provincia italiana.
«Alla buonora» è il commento lapidario del segretario della Cgil del Veneto, Christian Ferrari. «La cancellazione di questo strumento è uno degli aspetti che più abbiamo criticato del Jobs act» spiega il sindacalista, secondo il quale con la sua reintroduzione «si potrebbe garantire un sostengo al reddito ai lavoratori ma anche tempo all’azienda o al nuovo insediamento industriale».
Stando sempre ai dati di Veneto Lavoro, il numero di aziende che hanno aperto uno stato di crisi negli ultimi quattro anni è in diminuzione: dalle 1.513 del 2014 si è passati alle 223 del 2017. In calo anche il numero di posti di lavoro in pericolo: nel 2014 furono 39.386, nel 2015 erano scesi a 26.532 fino ai 7.002 del 2017.
Tuttavia, per Ferrari, le conseguenze della grave crisi continuano a farsi sentire. «Le difficoltà delle aziende continuano ad essere tema d’attualità per noi — sostiene — Siamo di fronte a una ristrutturazione aziendale del Paese e il processo è in atto anche nel nostro territorio, quindi di questi strumenti c’è un grande bisogno proprio adesso». Consentire nuovamente alle aziende che cessano l’attività di usufruirne consentirebbe «di ridurre il numero dei licenziamenti, rimasti ormai l’unica alternativa». Il passo successivo, conclude Ferrari, dovrebbe essere quello di «aprire un ragionamento sul riassetto delle politiche attive e passive del lavoro, in una logica di complementarietà e non di contrapposizione, per individuare la via che renda più convenienti questi strumenti anziché mandare tutti a casa».
Il tema dovrebbe tornare nell’agenda del governo dopo l’estate, a ridosso della scadenza delle deroghe concesse alle aziende delle aree di crisi complessa. Da definire vi saranno diversi aspetti, tra i quali la durata dello strumento, quali imprese saranno coinvolte e soprattutto le coperture finanziarie.