Ferrovie licenzia dipendente ma perde la causa
L’azienda: contratto rescisso per giusto motivo. I giudici: atto illegittimo
Lavorava al «Cesifer» di Verona per conto di Rete Ferroviaria Italiana spa che nel 2010 lo licenzia perché «non controllava i treni». Dipendente veronese fa ricorso e ora la Cassazione gli dà ragione.
Lavorava al «Cesifer» di Verona per conto di Rete Ferroviaria Italiana spa e quello che gli era stato affidato era un compito particolarmente delicato: rilasciava la «certificazione di sicurezza delle imprese ferroviarie».
Avrebbe dovuto,cioè, dare l’ok alla circolazione dei mezzi purché risultassero essere stati opportunamente controllati e omologati. Ma il 23 giugno 2010 Paolo Dalla Battista, il dipendente di Rfi spa al centro della vicenda, viene licenziato «per giusta causa» dall’azienda. Il motivo? «La contestazione - spiega Rfi - di plurime irregolarità emerse in relazione alla gestione del rilascio dei contrassegni di circolazione in favore delle imprese appaltatrici ed in particolare in relazione all’avvenuto rilascio di tali contrassegni pur in assenza della preventiva omologazione dei mezzi o in mancanza di verifiche sulla “storia” dei mezzi, con riguardo alla loro provenienza e ad eventuali interventi di modifica e riparazione o in presenza di difformità con le informazioni contenute nei libretti di circolazione ed ancora in relazione al mancato aggiornamento della “banca dati” del registro immatricolazioni ed alla mancata attivazione dell’iter procedimentale per il recupero del servizio reso a terzi e dei relativi introiti». Caso chiuso, dunque? Niente affatto perché Dalla Costa non si arrende e decide di impugnare il licenziamento. In primo grado, il Tribunale del Lavoro di Roma gli dà ragione, dichiarando «l’illegittimità del licenziamento» e ritenendo «tardive due delle contestazioni e non provate le altre». Rete Ferroviaria Italiana non demorde e presenta ricorso in appello: ma in secondo grado la decisione decretata in primo grado viene confermata perché «le contestazioni relative alla mancata implementazione del registro immatricolazioni ed alla mancata attivazione dell’iter per il recupero dei costi per lavoro conto terzi - si legge in quella sentenza - erano di semplice accertamento e quindi non era giustificato il tempo che la società aveva impiegato prima della relativa contestazione».Quanto alle altre contestazioni, a parere dei magistrati dell’Appello «evidenziavano che le risultanze processuali avessero fornito una diversa ma chiara rappresentazione relativamente alla posizione dell’appellato, alle mansioni in concreto svolte ed agli incarichi affidatigli e rilevavano che il predetto, cui era stato contestato un comportamento commissivo e non una omessa vigilanza sull’altrui condotta, non era il solo dipendente ad occuparsi delle pratiche per il rilascio dei contrassegni svolgendo i medesimi compiti, su un piano paritario, anche a un altro dipendente e non vi era un la prova che le contestate irregolarità fossero da attribuire al Dalla Battista in via diretta». Ancora una volta, la seconda consecutiva, Rfi spa non si ferma e si rivolge alla Corte di Cassazione con un ricorso fondato su altri sette motivi. Con la decisione appena pubblicata, però, gli Ermellini hanno definitivamente chiuso la storia dando di nuovo ragione al lavoratore veronese e stabilendo che «l’onere della prova circa la tempestività della contestazione ricade sul datore di lavoro» e nel caso di specie la Corte «ritiene tale onere non adempiuto». Risultato: ricorso rispedito al mittente. Stavolta, senza ulteriori margini di appello.
L’ultima sentenza L’onere della prova ricade sul datore di lavoro e non sul dipendente