«Cassa straordinaria, discutiamo il ritorno»
Sindacati col governo. Assindustria: «Attenti ai costi»
Il ritorno della cassa integrazione straordinaria per le crisi aziendali? «Il punto sarà vedere la proposta concreta, oltre le dichiarazioni. Ma il confronto va riaperto». La discussione non può che essere agli inizi anche in Veneto, di fronte ad una discussione governativa ancora embrionale. Ma Gianfranco Refosco, segretario regionale Cisl, dà il perimetro entro cui muovere le pedine. Il tema è l’intenzione dichiarata dal governo di ripristinare la cassa integrazione per le aziende che cessano l’attività. Magari per un trasferimento delle lavorazioni all’estero. Un ripristino degli ammortizzatori, per ricreare una soluzione-ponte che congeli la situazione e favorisca il profilarsi di un acquirente.
Soluzione corretta o il ritorno di forme di assistenzialismo che duravano anni? E oltretutto, calato in Veneto, proposta utile, di fronte ad una sostanziale ritirata delle crisi aziendali, rispetto agli anni più bui? I dati di Veneto Lavoro lo mostrano. Le aziende che hanno aperto una crisi sono state 223 nel 2017, contro 1.513 nel 2014, con settemila addetti rispetto agli oltre 39 mila di quattro anni fa; e le nuove crisi nel primo trimestre 2018 sono state 47 contro le 77 di un anno prima. Allo stesso modo gli accordi per chiudere le crisi nel 2017 sono stati 196 ed hanno toccato 5.500 addetti, contro i 1.823 del 2013 con oltre 48 mila addetti; mentre i licenziamenti collettivi sono stati 3.700 lo scorso anno, contro medie annuali oscillanti tra i 12 e i 14 mila l’anno tra 2009 e 2013 e un picco di 18.200 nel 2014.
E tuttavia per i sindacati, anche in Veneto, una riflessione s’impone. «Siamo passati da casse integrazioni che duravano per anni, senza riqualificazioni, ad una situazione post Jobs Act troppo rigida, in cui non si concede un’ora nemmeno alle aziende a cui si cerchi di garantire la continuità - sostiene Refosco -. È vero, le crisi aziendali sono calate drasticamente, ma non sparite. E aprire un confronto su soluzioni non di assistenzialismo, ma di accompagnamento per far sopravvivere le imprese è necessario».
Sul fronte a Cgil, il segretario regionale Christian Ferrari enumera i casi in cui la cassa straordinaria si sarebbe potuta rivelare utile: la padovana Exo, che realizzava le ciabatte Crocs, che ha trasferito la produzione all’estero, l’industria degli elettrodomestici Hayer, sempre nel Padovano, la drastica riduzione del polo produttivo della caldaie Ferroli, nel Veronese, tutta la crisi delle cementerie della Bassa Padovana. «Abbiamo sollevato da tempo il problema - spiega Ferrari -. Il cambiamento del Jobs Act in quest’ambito ha reso più facile risolvere i problemi con i licenziamenti invece di cercare di dare continuità alle aziende. Si sono messe l’una contro l’altra politiche passive e attive del lavoro, mentre servirebbe una riforma che ci ridia la cassa straordinaria come leva di politica industriale». E le imprese? La prima reazione viene da Confindustria Venetocentro, che in una nota dichiara la disponibilità «a un confronto nel merito delle proposte che verranno e degli obiettivi». Aggiungendo però che «non è possibile un ritorno al passato e all’uso della cassa integrazione per lunghi periodi, talvolta di anni, con costi elevati per le casse pubbliche e risultati non soddisfacenti per la continuità occupazionale».
Padova e Treviso riconoscono però un fatto: «La cassa è stata uno strumento che ha consentito, specie negli anni dal 2008, di gestire le situazioni più gravi di crisi». Con un'avvertenza: «L’ipotesi di una sua reintroduzione, anche temporanea, come soluzioneponte che faciliti il ricollocamento dei lavoratori, non dovrà comunque prevedere il reperimento delle risorse necessarie a carico delle aziende, che già subiscono un costo del lavoro gravato da oneri fiscali e contributivi tra i più elevati al mondo».
«Che la cassa integrazione abbia salvato l’Italia che nella crisi perdeva il 25% della base manifatturiera, è indubbio. Certo, abbiamo speso 14 miliardi nel solo 2011 - dice l’ex manager delle risorse umane ed ex parlamentare Maurizio Castro -. Allo stesso modo va riconosciuto il fallimento del passaggio alle politiche attive del lavoro. Di fronte alla necessità di una riforma, sarei favorevole a soluzioni assicurative nei contratti nazionali di lavoro, invece di ridare spazio agli ammortizzatori che sottrarrebbero risorse alle politiche attive. Con una domanda di fondo: la politica vuole investire o no sulle parti sociali, sul ruolo di imprese e sindacati?».