Il manager musicale partito dal calcio
Selezionato a 20 anni per un corso a Coverciano, la carriera di Mazzi ha poi virato altrove «Trasformare una passione in un lavoro si può, ma bisogna combattere sempre»
Gianmarco Mazzi è oggi uno dei più conosciuti manager dello spettacolo. Ha diretto il festival di Sanremo, ha lavorato con i più grandi, da Gianni Morandi ad Adriano Celentano, che riporterà presto a esibirsi dal vivo in un nuovo programma televisivo girato al teatro Camploy. È inoltre a capo di Arena Extra, la società che organizza gli eventi extralirica in Arena. Sarà ad Univerò mercoledì (aula SMT .06, dalle 10 alle 11) con un intervento dal titolo «Il mondo dell’entertainment tra passione e professione». «Spiegherò che trasformare una passione in un lavoro è possibile racconta - ma che per farlo bisogna dosare razionalità, libertà di pensiero e follia creativa». Una carriera ad alti livelli come la sua non è necessariamente un percorso lineare e pianificato. Può essere il frutto della decisione di un momento, della capacità di cogliere l’attimo. Questione di istinto: certi treni, non importa quanto si è giovani e inesperti, non ripassano.
All’inizio degli anni ‘80, Mazzi è uno studente di belle speranze che, dopo il liceo Maffei a Verona, si è iscritto con profitto a Giurisprudenza a Bologna. Ma Gianmarco, che è un appassionato di pallone, legge sulla Gazzetta dello Sport di un nuovo corso per manager calcistici della Federazione. Manda una lettera, compila un questionario e, contro ogni aspettativa (anche sua) viene selezionato con altri trenta, quasi tutti ex calciatori e con almeno quindi anni più di lui.
Non è facile far digerire al padre, che l’avrebbe voluto medico e che adesso già se lo immaginava avvocato o meglio ancora notaio, questo cambio di prospettiva di vita. Ma il dado è tratto. Al suo arrivo a Coverciano, Mazzi fa subito la conoscenza con il direttore del corso, un mito del calcio: Italo Allodi, direttore sportivo della grande Inter di Helenio Herrera. «E ti presenti qui così?», gli chiede con un certo divertito stupore. Mazzi ha i capelli lunghi, come in molti a quei tempi. In pausa pranzo, riesce a trovare un barbiere e si ripresenta con tutt’altre fattezze. «Così va bene», sorride Allodi, che diventerà il suo mentore: lo conferma nel corso nonostante i posti fossero esauriti; lo manda l’estate successiva in Gran Bretagna a studiare quel calcio già così avanti rispetto a quello italiano come infrastrutture e organizzazione; gli fa pagare il conto dell’albergo a Glasgow quando i Celtic lo scaricano dopo averlo scoperto aiutare Giovanni Trappatoni, allora allenatore della Juventus, che si trova in città per preparare l’esordio in Coppa dei Campioni. «Ho grandi progetti per te», gli dice al suo ritorno in Italia. Ma quando gli offre un posto di segretario generale a Cava dei Tirreni o a Lecce, Mazzi - che studia ancora e non vuole allontanarsi troppo da casa - rifiuta. «È l’errore più grande della tua vita», gli dice furibondo Allodi, che qualche tempo dopo gli rifila un incarico minore, quello di assistere Mogol nel progetto di una nascente Nazionale Cantanti.
Sarà, questa, la seconda svolta nella vita di Mazzi. «Capisco che il mondo dello spettacolo mi è più affine a quello del calcio, è meno arido», racconta. La Nazionale Cantanti diventa un successo clamoroso: nel ‘92, sono in 90mila allo stadio Olimpico, con Mazzi e Morandi a presenziare a matrimoni e comunioni per vendere biglietti. La musica diventa il suo mondo, farà ogni tipo di mansione. Lavorando a stretto contatto con Mogol, Morandi, e successivamente Cocciante e Celentano, Mazzi capisce cosa accomuna i più grandi: «Perfezionisti, mai contenti di quello che fanno, lottano e combattono fino all’ultimo, non mollano mai la presa». Si ispira a loro, la sua carriera sboccia così. «Avresti potuto perderti, invece ce l’hai fatta» gli riconoscerà lo stesso Allodi, infine riconciliato.