Il «muro» di Corona
Misoginia e violenza sulle donne: il nuovo romanzo solleva denunce e interrogativi «Ero stufo di Liale, volevo parlare del male»
«Ogni volta che son andato con donne, a fine coito mi facevano schifo. Non rimanevo oltre nemmeno un minuto o le avrei prese a sberle. Questo mi succedeva. E ancora mi succede, non posso farci niente. A voler dire tutta la verità, ce n’è stata una con cui le cose sembravano diverse. Ma non è questo il momento di parlarne. L’unica soluzione è stare lontano dalle donne, sono la rovina dell’umanità». Che la montagna di ieri fosse un luogo di grandi durezze lo sapevamo. Leggendo i libri di Mauro Corona o facendocelo ricordare da illuminati saggi come quelli di Steven Pinker, ci apparivano le immagini funeste di un passato di violenza, miseria, chiusura, stupri familiari, bieca persecuzione. E tutti gli ingenui paradigmi del buon selvaggio, di un passato idilliaco fatto di rapporti regolati dalla buona fede ci sembravano ridicoli, inadatti. Ma era difficile immaginare che Corona, nei suoi 68 anni, con all’attivo oltre 30 tra romanzi, raccolte di racconti, vari scritti più e meno seri, potesse portare la violenza a un livello così estremo e crudo, così parossistico e ancestrale come fa nel suo ultimo libro,
Nel muro (Mondadori). Asciugato nello stile e nel lessico fin da quel titolo di sette lettere brevissimo ed enigmatico, è un thriller ambientato nella montagna alpina di 150 anni fa e raccontato dalla voce di un uomo crudele e sadico, un satanico amante della violenza, il cui punto di vista dobbiamo volenti o nolenti fare nostro. Tutto comincia dal ritrovamento casuale da parte del protagonista di tre mummie di donne, dell’intercapedine di una baita di montagna nascosta in un bosco fitto e quasi stregato, quasi una foresta di Fangorn: sui corpi delle mummie, incisi da una lama taglientissima, strani segni di un linguaggio sconosciuto. Ma mentre la storia si dipana con i suoi colpi di scena e la inevitabile fuga nel passato, capiamo che le torture e le sofferenze inflitte dal protagonista al mondo femminile - persino alle donne degli animali: gatte, galline, capre, solo le donne sono ben condivisi dai suoi amici uomini. Al di là delle perversioni di una mente malata, insomma, quello della sottomissione e dell’umiliazione della donna è un tamburo che batte nel sangue del genere maschile, in senso universale. Averlo voluto vedere, e raccontare, è il contrario di un’apologia della violenza: è la denuncia, o almeno il grande interrogativo che Corona ha avuto il coraggio di far affiorare.
Mauro Corona, questo libro sembra quasi un suo incubo personale. «È così. C’è molto di mio in
Nel muro. E non è solo che una mummia l’ho trovata per davvero, nell’intercapedine di una baita, insieme a un bracconiere. Quello che ho descritto prende spunto dalla mia vita. Intendiamoci, non ho ammazzato nessuno: ma c’è molta di questa inquietudine e di questa misoginia in me stesso per primo. E in chi mi stava intorno».
Deturpare le donne, passare loro le ortiche sulle gambe e sulla faccia, usare persino la fuliggine per renderle meno riconoscibili, più brutte e quindi eccitanti: i maschi sono
dunque questo?
«Quest’ultima in particolare era una cosa che apparteneva a un mio amico che adesso è scomparso: non riusciva a frequentare una donna se non era brutta, mi aveva spiegato. La sua timidezza e incapacità lo mettevano ko di fronte a una donna piacente, normale. Dunque aveva bisogno di sfigurarla. Ma non voglio parlare solo di lui. Anche in me c’era qualcosa di irrisolto: quando vedevo che il toro montava la vacca, per esempio, saliva in me una strana sensazione, come di rabbia verso di lei che si faceva sfregiare così. Mi avevano insegnato che l’atto sessuale era sporco. Ricordo che nel bosco, con mio padre, assistemmo a una lotta tra cervi maschi, che si prendevano a cornate mentre la femmina assisteva da lontano. Lui mi disse: guarda quella tr... che aspetta che loro si facciano male, poi sceglie il più forte e va con lui. Le donne nella nostra cultura erano spesso questo».
L’hanno accusata di inneggiare alla violenza.
«Peggio. Mi scrivono per chiedermi se le ho fatte io, quelle cose. Cosa devo dire, siamo un Paese in cui c’è molta sottocultura. Io ho scritto un romanzo: quand’è che abbiamo smesso di separare la letteratura dalla realtà? Ci sono lettori che non hanno preparazione culturale: leggono e vedono me stesso in quello lì. Mi fa impressione. Non capiscono che le cose che ci sono in giro sono molto peggio della letteratura, come già scriveva Borges».
Di questo libro è stato detto: è il Corona più pulp di sempre. E’ d’accordo?
«Può anche essere. Ero stufo di Liale, di Sei metri sopra il cielo, di bacini e di lucchetti. E mi è venuto un romanzo diverso, che affronta la vera spina dorsale del mondo: che è il male. È un libro tremendo, lo so: ma volevo proprio questo libro».