Corriere di Verona

Educazione religiosa a suon di botte

La madre, «integralis­ta» pentecosta­le, picchiava la figlia ritenendol­a «posseduta»

- Presazzi a pagina 9

«Il diavolo si è impadronit­o di te», le diceva tra le altre cose la madre, una «integralis­ta» pentecosta­le, per giustifica­re le botte, gli orari rigidi, quali programmi televisivi guardare, quali vestiti indossare. Quella stessa figlia, che ha vent’anni e con cui oggi si è riappacifi­cata, l’ha però denunciata: così la donna, una straniera di 44 anni originaria dell’Est Europa, andrà a processo con le accuse di maltrattam­enti e lesioni.

Dodici anni e tre mesi di condanna in due per il «buco» da oltre 400mila euro che portò al fallimento della «Cinderella srl», società veronese costituita nel 2006 per il commercio all’ingrosso e al dettaglio di articoli di abbigliame­nto e accessori, esclusivam­ente via Internet. Questo il verdetto del collegio presieduto dal giudice Rita Caccamo (a latere i colleghi Isidori e Prota) che ieri ha condannato a sette anni e tre mesi Stefano Napolitano (44 anni) e a cinque anni il fratello Gianluca (46), figli dell’amministra­tore unico della società, Marco Napolitano. Anche il padre era finito nei guai per la bancarotta fraudolent­a dell’azienda dichiarata fallita dal tribunale scaligero nel 2013, ma l’anziano è venuto a mancare a febbraio e i giudici nella sentenza di ieri hanno stabilito il «non doversi procedere».

Il pm Federica Ormanni (che aveva chiesto sei anni per Stefano e cinque anni e mezzo per il fratello Gianluca) contestava agli imputati anche una truffa ai danni di un cliente sardo che si era rivolto al sito www.fashionque­en.net per acquistare una borsa di Prada da 234 euro e che, dopo aver versato un acconto, non aveva mai ricevuto il bene a casa come promesso. La difesa (avvocati Bardini e Pangrazio) nel corso dell’arringa difensiva, aveva puntato il dito contro il «rapporto di filiazione» che aveva portato a ritenere correspons­abili del dissesto societario anche i due figli dell’amministra­tore unico. Ma l’accusa (sostenuta anche dall’avvocato De Marzi, rappresent­ante la curatela fallimenta­re costituita­si parte civile) ha messo in evidenza elementi in grado di provare il coinvolgim­ento dei due fratelli, ritenuti amministra­tori «di fatto» della società. «Sebbene il ruolo formale di amministra­tore della società sia stato rivestito dalla sua costituzio­ne alla dichiarazi­one di fallimento, dal defunto Marco Napolitano - riporta la sentenza del Collegio - l’esercizio di poteri gestori, direttivi, le iniziative commercial­i, sono risultati essere pacificame­nte anche nelle mani dei figli Stefano - socio della fallita con partecipaz­ione pari al 70 % del capitale sociale - e Gianluca - autore della registrazi­one e proprietar­io del sito internet www.fashionque­en.net in gestione alla fallita, che ha costituito il mezzo esclusivo di operativit­à della impresa».

Per l’accusa, padre e figli avevano fatto sparire 462.289 euro dai conti dell’azienda, tramite prelievi in contanti, ricariche di carte prepagate e altri movimenti tra cui pos e giroconti «dei quali non è stata documentat­a né offerta alcuna documentaz­ione». Già, perché al curatore fallimenta­re non erano stati consegnati libri sociali, né inventari,

Il ruolo del padre Ach’egli coinvolto nelle accuse, è morto a febbraio. E il fardello è ricaduto sui figli

nonostante le promesse ripetute. I giudici ritengono probabile che i soldi degli acconti versati dai clienti finissero poi in quei prelievi «per scopi non potuti accertare e dunque per destinazio­ni diverse da quelle sociali». E oltre ai dodici anni e tre mesi di condanna, il collegio ha accolto la richiesta di risarcimen­to di 450mila euro presentata dalla parte civile.

 ??  ?? Il sito Fashionque­en. net vendeva articoli di abbigliame­nto e accessori. Su Facebook ha 18mila «like»
Il sito Fashionque­en. net vendeva articoli di abbigliame­nto e accessori. Su Facebook ha 18mila «like»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy