Indagini chiuse «Miteni sapeva di inquinare»
Avrebbero inquinato sapendo di farlo, senza adottare contromisure né avvisare gli enti preposti, nonostante «l’alterazione anche visiva del sottosuolo» e il continuo «sforamento dei valori tollerati». Tanto da chiedere ai consulenti ai quali commissionavano di volta in volta le verifiche ambientali di «rivedere e ridimensionare la portata delle affermazioni». E al punto da vendere la Miteni spa — nel 2009, tra le multinazionali Mitsubishi e Icig — al costo di un euro, a fronte di un valore di 15 milioni. «Un accordo davvero singolare», secondo la Procura di Vicenza, spia di «una reciproca consapevolezza» che risulterebbe anche da documenti acquisiti nella perquisizione dello studio legale milanese che curò la compravendita. Questo mentre l’interramento di rifiuti e scarti di lavorazione, le carenti misure adottate per smaltire i residui e la limitata tenuta degli impianti estendevano la contaminazione di tutta l’area industriale alle acque sotterranee e superficiali. Avvelenando la falda di 21 Comuni a cavallo tra le province di Vicenza, Verona e Padova e così migliaia di cittadini, con conseguenze sulla salute come l’aumento del livello di colesterolo (accertato nella superconsulenza voluta dalla Procura). È il quadro accusatorio tracciato dai pm Hans Roderich Blattner e Barbara De Munari, che dopo due anni di lavoro hanno chiuso le indagini preliminari sul troncone principale dell’inchiesta sull’inquinamento da Pfas e Pfoa addebitato all’azienda chimica Miteni di Trissino. Ma c’è anche un secondo fascicolo, già con indagati, per l’inquinamento da GenX, C6 e C4, dal 2013 ad oggi.