Urla disperate dal vagone merci, nove profughi salvi in extremis
Il treno proveniva da Trieste. «Il viaggio costa tremila euro»
Ventiquattro vagoni merci in fila. Un convoglio che avrebbe dovuto raggiungere Poggio Rusco, nel Mantovano, ieri. E che invece è stato fatto fermare per ore sui binari della stazione di Buttapietra per consentire di soccorrere i 9 migranti che viaggiavano clandestinamente all’interno.
Ventiquattro vagoni merci uno in fila dietro l’altro. Un convoglio grigio che avrebbe dovuto raggiungere lo scalo di Poggio Rusco, nel Mantovano, nella tarda mattinata di ieri. E che invece è stato fatto fermare per ore sui binari della stazione di Buttapietra per consentire di soccorrere i 9 migranti che viaggiavano clandestinamente all’interno. Alcuni addetti delle Ferrovie, avevano allertato il macchinista dopo che il treno aveva lasciato l’Interporto del Quadrante Europa, verso le 10. All’altezza del bivio ferroviario di via Mantovana, gli operai avevano sentito nitidamente delle grida umane provenienti dall’interno di uno di quei vagoni che trasportavano cereali. E così, è stato deciso di fermare il convoglio al primo scalo disponibile, in sicurezza. In stazione, a Buttapietra, sono arrivati in un attimo vigili del fuoco, dipendenti di Ferrovie dello Stato, polizia ferroviaria e 118. E quando il treno si è fermato, quel popolo di disperati rinchiuso al buio da giorni, ha iniziato a urlare e a battere forte sulle pareti del vagone. Sono stati i pompieri ad arrampicarsi in cima al container e ad aprire una delle botole, scoprendo che all’interno non vi erano solo tonnellate di granaglie.
Distesi sopra quel tappeto di cereali, in uno spazio non più alto di 40 centimetri, i migranti chiedevano aiuto in un mix di lingue incomprensibili. I vigili del fuoco hanno fornito loro per prima cosa un po’ di ossigeno con le bombole che avevano in dotazione. Verso le 11.30, dopo l’arrivo dell’elicottero di Verona Emergenza, sono iniziate le operazioni di recupero. Spaesati e accecati dal sole, sono spuntati uno dopo l’altro daltà la botola. Terrorizzati dall’idea di sfiorare i cavi dell’alta tensione che correvano a poco meno di un metro dalla cima del vagone. La corrente era già stata tolta, ma il particolare rivela che, con ogni probabilità, questi stranieri erano stati attentamente istruiti su tutti i rischi di un viaggio del genere.
Una volta a terra, sono stati visitati dal personale del 118 e solo in tre sono stati portati in ospedale: uno sosteneva di essere diabetico, gli altri due apparivano fortemente disidratati e provati. «Siamo partiti dalla Serbia, non ci conoscevamo tra di noi», ha spiegato uno di loro, l’algerino Mohamed Amine di 24 anni. Saranno ora le indagini della Polfer a dover ricostruire con esattezza tutto il viaggio del convoglio che di certo è entrato in Italia lunedì, a Trieste.
Secondo il racconto dei nove migranti (uno di nazionali- afghana, un diciassettenne marocchino e 7 algerini), avrebbero pagato tra i 2.500 e i 3mila euro a testa a tale «Babo», un uomo «con i rasta sulla nuca» incontrato nei bar di Belgrado dove questo esercito di disperati stazionava da mesi.
«Ci ha detto che ci portava in Europa in taxi, poi invece ci ha portato alla stazione di Sid (una città serba, al confine con la Croazia, ndr) e ci ha fatto aspettare 4 giorni prima di farci entrare in questo treno - proseguiva Mohamed -. Non so quanti giorni abbiamo trascorso qui dentro: cinque o sei, ho perso il conto. Avevamo poca acqua e poco cibo. Io volevo solo arrivare in Germania, dove ho già vissuto». Ma non sapeva che il treno merci, ieri, puntava a Sud. Nel pomeriggio, poi, gli agenti della Polfer hanno lavorato a lungo insieme ai colleghi dell’ufficio Immigrazione per fotosegnalare i 9 migranti (tutti senza documenti) e verbalizzare le loro storie.