Colombo: il carcere non educa, incattivisce
L’ex magistrato tra studenti e detenuti
Cosa deve accadere a chi commette un reato? Dopo 33 anni trascorsi a fare luce sulle pagine più oscure dell’Italia a cavallo tra Prima e Seconda Repubblica - si pensi alla Loggia P2 o a Mani Pulite - l’ex magistrato Gherardo Colombo si è guadagnato il diritto di rispondere a questa domanda. Lo fa formulando un nuovo concetto di giustizia riparativa.
«Il carcere non educa ma incattivisce - è il suo pensiero - altrimenti come spiegheremmo il fatto che due volte su tre chi esce da una struttura penitenziaria vi ritorna? Serve una pena alternativa: un perdono responsabile che passi attraverso percorsi che non privino i detenuti dei diritti civili». Le riflessioni di Colombo, oggi docente e formatore, hanno riempito la cappella del carcere di Montorio. Davanti a lui, una platea diviso in due: da un parte i detenuti, dall’altra studenti di quattro istituti superiori di Verona: Maffei, Messedaglia, Copernico e Berti. Una platea riunita da Prospettiva Famiglia, ente che opera nell’ambito dell’educazione nel tessuto scolastico del territorio. «La giustizia italiana non ha mai funzionato - ammette l’ex magistrato - pensiamo a chi, per un piccolo furto, viene recluso per anni in condizioni che violano diritti come lo spazio vitale o la possibilità di vedere regolarmente i propri cari? Si esce in pace con il resto mondo oppure con la voglia di fargliela pagare?».
Sarebbe ingiusto, però, paragonare un taccheggiatore a una persona che si è macchiata di reati molto peggiori. «Chi è pericoloso per la società deve stare da un’altra parte - chiosa faccio l’esempio della prigione Halden, in Norvegia: partendo dall’idea che le carceri punitive non funzionano in termini di rieducazione, lo Stato norvegese ha costruito per i detenuti ambienti altamente umani, accoglienti e simili al mondo esterno».