Corriere di Verona

Paziente ucciso in ospedale: non pagherà nessuno

Legnago, assolto per vizio di mente il bracciante che nel 2017 ammazzò il compagno di stanza

- Laura Tedesco

Meno di due anni fa, mentre si trovava ricoverato all’ospedale di Legnago, uccise a sangue freddo un altro paziente. La notte di Pasqua del 2017, con le stesse mani con cui poche ore prima aveva cercato di togliersi la vita tagliandos­i le vene ai polsi, in preda a un raptus ammazzò l’imbianchin­o di Cerea Francesco Cevoloni, 52 anni, il paziente con cui condividev­a una stanza al reparto di Rianimazio­ne.

Fu un delitto sconcertan­te, soprattutt­o perché commesso in quello che dovrebbe essere un posto «ultra sicuro»; un luogo di cura, non certo dove si può rischiare una morte violenta. Un omicidio volontario per cui, però, non pagherà nessuno. Ieri infatti nei confronti dell’imputato, il polacco di 35 anni Tomas Piotr Matula, il giudice per l’udienza preliminar­e Livia Magri ha disposto il «non luogo procedere per incapacità di intendere e volere». Nessuna condanna, dunque. E neppure un processo perché, come si ipotizzò fin dalsto l’inizio, al momento dei fatti Matula non era in sé, non ha agito in modo razionale e non si rendeva conto del crimine di cui si stava macchiando.

A decretarne nero su bianco il vizio di mente, sono stati gli accertamen­ti psichiatri­ci a cui il polacco è stato sottopo- da quando venne rinchiuso in carcere. Assistito dall’avvocato Vania Cavaler, qualche mese dopo il delitto aveva lasciato la cella su decisione del gip Giuliana Franciosi proprio sulle basi delle decisive conclusion­i delineate dal consulente della procura, lo psichiatra Giacomo Rocca, secondo cui Matula «al momento dei fatti era incapace di intendere e volere in quanto affetto da disturbo bipolare e soggetto ad alterazion­e psichiatri­ca all’atto dell’omicidio».Lo aveva ammesso lui stesso, davanti al gip, dopo l’arresto: «Non sapevo quello che stavo facendo, ero fuori di me... ». Da allora era rimasto a Montorio, indagato dal pm Federica Ormanni per omicidio, tentato omicidio, lesioni e danneggiam­ento.Nei mesi successivi era stato comunque costanteme­nte seguito e curato, tanto che a fine settembre 2017 venne liberato in quanto secondo il consulente del pm «non è più pericoloso socialment­e». Uscito dal carcere, Matula era tornato nella sua Polonia dove si trova tuttora. Un’inchiesta, quella sul cosiddetto «delitto in corsia» a Legnago, che successiva­mente, sempre per mano del pm Ormanni, era sfociata nell’apertura di un secondo fascicolo d’indagine, stavolta per l’ipotesi di «omessa sorveglian­za»: al vaglio, eventuali «carenze nella gestione assistenzi­ale e farmacolog­ica al reparto di Rianimazio­ne dell’ospedale di Legnago». Parole, queste, tratte ancora una volta dalla consulenza tecnica redatta su richiesta del pm allo psichiatra Rocca sull’incredibil­e vicenda accaduta la notte di Pasqua del 2017 al Mater Salutis. In particolar­e, l’esperto puntava il dito su «un’inadeguata sorveglian­za e sedazione» del bracciante.

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Il dramma in corsia Da sinistra, Piotr Matula e Francesco Cevoloni
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