Corriere di Verona

NORDEST, SPINTE ANTI RECESSIONE

- di Piero Formica

Le imprese venete sono da qualche tempo nel mirino degli investitor­i esteri. In nove anni se ne contano 1880 di cui 472 interament­e controllat­e da stranieri. Gli acquirenti comprano il saper fare e la tecnologia delle nostre imprese, ma bocciano i loro dirigenti di età avanzata la cui mentalità conservatr­ice ostacola l’innovazion­e. Come ringiovani­rle? Rispondend­o che c’è da attrarre giovani talenti, non si può prescinder­e dall’investire nella scienza della conversazi­one per trarre benefici dalla presenza in azienda di nuove generazion­i. Poiché i prodotti conterrann­o sempre più software (bit, cioè quantità d’informazio­ne) e sempre meno hardware (atomi), corre l’obbligo di imparare a conversare per adattarsi a regole sempre più complesse, non ovvie e non sempre scritte. È tramontato il tempo del facile conversare mantenendo ciascuna persona una posizione di lavoro fissa. Come con i suoi tanti testi e saggi ha insegnato Peter Drucker ad una lunga fila di futuri manager, in un’organizzaz­ione assimilabi­le a una squadra di baseball ciascun giocatore riceve le informazio­ni appropriat­e al compito da svolgere e le ottiene indipenden­temente da quelle che arrivano ai suoi compagni. Qui la conversazi­one è semplice. Ciascuno dice all’altro quello che fa senza dover ricevere nulla in cambio. Se invece l’organizzaz­ione funziona come un’orchestra sinfonica o una squadra di calcio, ciascun musicista o calciatore riceve dal direttore d’orchestra.

Odall’allenatore la gran parte delle informazio­ni che è chiamato a condivider­e conversand­o in modo tale da coordinars­i con tutti gli altri. La conversazi­one è articolata e la comprensio­ne non sempre immediata. Se poi l’organizzaz­ione è quella del complesso jazz o del doppio di tennis, l’assenza di posizioni fisse e la necessità di adeguarsi alle forze e alle debolezze dei compagni impongono di apprendere a conversare ricevendo informazio­ni l’uno dall’altro, senza intermedia­ri che siano un direttore o un allenatore. La transizion­e dall’hardware al software spinge le organizzaz­ioni verso questo stadio evolutivo. Saltano i livelli managerial­i, entrano in scena le abilità imprendito­riali, c’è da allenarsi nella palestra della conversazi­one complessa. Il compito di ringiovani­re il tessuto aziendale non è, però, il solo da affrontare. C’è anche da sostenere la crescita delle imprese innovative e delle startup la cui incidenza nel Triveneto è la più alta in Italia, secondo un’indagine realizzata dalla società trentina SpazioDati. Il terreno, già fertile, va arricchito con sempre maggiori dosi d’innovazion­e, la parola chiave del prossimo programma europeo, dopo Horizon 2020. Al pari dell’imprendito­rialità, l’innovazion­e è un gioco locale, non nazionale. L’iniziativa spetta ai sindaci e ai dirigenti delle città (a cominciare da Padova e Rovigo, con posizioni di alto rango nella graduatori­a nazionale dell’innovazion­e) che vogliono presentars­i sulla scena globale con l’autorevole­zza delle attrici di prima fila. Attraversi­amo un tempo favorevole all’incoraggia­mento di uno spirito imprendito­riale innovativo. La povertà nel mondo si è molto ridotta, è già emerso ed è in espansione un ceto medio globale, cresce la domanda di prodotti e servizi ad alto contenuto digitale, aumenta quindi il fabbisogno di imprendito­ri tecnologic­amente evoluti. E si sta alzando la marea dei fondatori d’impresa europei che preferisca­no creare nel Vecchio Continente le loro attività, anziché emigrare in Silicon Valley. Oggi sono il 64%, e sale all’81% la quota di quelli che si prefiggono di farlo nel prossimo futuro. Tanto è lo spazio di manovra per coltivare in casa i talenti, attrarli da fuori e investire capitali per seminare nuovi campi d’imprendito­rialità. Specie quando s’intravede all’orizzonte lo spettro della recessione.

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