Stefanel in crisi dichiara 244 esuberi
L’azienda chiede la cassa straordinaria: in Veneto 105 addetti. Svuotata la sede a Ponte di Piave
Della situazione di Stefanel mancavano ormai solo le indicazioni sulle inevitabili ricadute occupazionali. Che, puntualmente, sono arrivate ieri. La società ha comunicato ieri con una lettera ai sindacati, di aver valutato il quadro, dal quale «rispetto ai 253 lavoratori della società in forza, emerge un esubero di 244 unità». Che, viene tuttavia aggiunto subito dopo, «potranno utilmente essere reimpiegate al termine del programma aziendale». La lettera è indirizzata anche al ministero del Lavoro, alle segreterie nazionali e locali dei sindacati e a una lunga serie di Regioni, dato che il provvedimento riguarda anche il personale di una quarantina di punti vendita italiani in province che vanno da Torino a Bari, da Udine a Siracusa. E vale come comunicazione per chiedere un incontro fra le parti, entro 25 giorni, per dichiarare lo stato di crisi e accedere alla cassa integrazione straordinaria per 12 mesi che, nelle intenzioni dell’azienda, ricadrà sulla «totalità dell’organico aziendale».
Di questi 244, 105 sono in Veneto. Alla cassa integrazione straordinaria sono destinati non solo i 70 dipendenti dello storico quartier generale di Ponte di Piave, nel Trevigiano, ma anche altri 35 di 7 negozi diretti in regione: 2 dipendenti del punto vendita a Cortina d’Ampezzo, 7 a Ponte di Piave ed altri 4 a Treviso, 6 a Venezia, 1 a Montecchio Maggiore, nel Vicentino, 11 a Verona e altri 4 a Sona, alle porte del capoluogo scaligero.
Come sarà individuato il personale da cassintegrare è tutto da decidere perché è chiaro che, fosse la cassa straordinaria applicata a tutti e completamente, al lavoro non rimarrebbero che 9 persone. L’azienda si premura anche di spiegare che le persone da mettere «in pausa» con l’ammortizzatore sociale (il contratto di solidarietà è stato escluso), saranno individuate «in funzione delle esigenze tecnico-produttive dell’azienda e verranno poste in cassa a zero ore o ad orario ridotto. L’azienda – si legge ancora - si impegna a considerare la possibilità di effettuare la rotazione del personale ove le condizioni organizzative lo permettano in relazione alle esigenze di servizio verso i clienti».
Questa, insomma, la piattaforma da modulare in funzione delle azioni che Stefanel intende intraprendere e che sintetizza poco sotto. Spiegando, per cominciare, che le funzioni «Retail» e «Wholesale», che gestiscono vendite al dettaglio e all’ingrosso, verranno svolte negli uffici di Milano così come quelle di marketing, digitali merchandising. Idem per gli affari generali e legali, la gestione del personale, l’informatica e la segreteria di Presidenza. Verranno invece esternalizzate le funzioni credito e contabilità clienti, affari societari ed altre, ora svolte nella sede centrale di Ponte di Piave, nel Trevigiano, di fatto svuotato. Mentre operations e coordinamento prodotto e stile, che hanno che fare con la gestione del prodotto, afferma il documento saranno concentrate in un «differente sito aziendale in provincia di Treviso», per garantire «una consistente riduzione dei costi». Così si lascia intendere che almeno parte di chi conserverà una posizione lavorativa dovrà quasi certamente accettare un trasferimento a Milano.
Per la cronaca va aggiunto che, in serata, Stefanel ha corretto il documento firmato poco prima dallo stesso amministratore delegato, Stefano Visalli, precisando che «ai sindacati è stata comunicata la sola intenzione di chiedere una cassa integrazione a rotazione per una platea di 244 unità». Il che, tecnicamente, non significa necessariamente esuberi. Resta che la tensione sull’occupazione è alle stelle e che l’assemblea seguita alla comunicazione, ieri pomeriggio, non è certo stata fra le più facili. «Continueremo la trattativa con l’azienda – ha detto la segretaria generale di Filtcem Cgil di Treviso, Cristina Furlan - per entrare nel dettaglio della comunicazione e ridurre gli esuberi. Porteremo la discussione al tavolo regionale: riteniamo importante che la Cigs sia concessa e, in seguito, anche l’assegno di ricollocazione per permettere a chi sia espulso di partecipare a programmi di politiche attive del lavoro».