Catullo, ora il Comune può vendere senza rafforzare i veneziani di Save
Ecco cosa contengono i patti parasociali disdetti: si può evitare il diritto di prelazione
Cosa c’è dietro la decisione del sindaco Sboarina di non rinnovare i patti parasociali per la Catullo Spa, siglati anni addietro con Save, la società veneziana guidata da Enrico Marchi? L’articolo pubblicato ieri dal Corriere di Verona ha destato una marea di commenti, ma i protagonisti della vicenda, adesso, si chiudono in un quasi assoluto riserbo.
Per fare un ulteriore passo in avanti, allora, è utile andare a vedere cosa dicono questi patti: gli accordi con Save furono siglati nel 2014 da quella che allora veniva indicata come una «newco», e che sarebbe poi diventata Aerogest, la società che riunisce i soci pubblici della Catullo Spa (Comune, Provincia e Camera di Commercio di Verona, più la Provincia di Trento). Il documento consta di 24 pagine. Le prime sono dedicate alla governance (che adesso Sboarina vuole ridiscutere) e spiegano che nel cda siederanno 4 consiglieri per la newco (tra cui il presidente), 3 per Save (tra cui l’amministratore delegato) e 2 per Fondazione Cariverona. I consiglieri in carica sono Paolo Arena (presidente), Franco Sebastiani (vice), Michele Cazzanti (amministratore delegato) Alessio Adami, Daniele Bernato, Alessandra Bonetti, Rita Carisano, Fabio Gava e Monica Scarpa.
I patti parasociali dedicano molte righe alla possibile vendita di quote da parte di un socio. Ove questo accadesse, gli altri soci avrebbero diritto di prelazione. Per fare un esempio (scelto non a caso), se il Comune di Verona intendesse cedere alcune delle proprie quote a Cariverona, Save potrebbe dire «no, quelle quote le acquisto io», ed avrebbe la precedenza, visto che i Patti spiegano che il diritto di prelazione sarebbe maggiore per il socio che possiede più azioni. Ripetiamo: questo è solo un esempio.
Ma si ricorderà come nei giorni scorsi, discutendo del «Piano Folin» per il riuso di molti palazzi del centro storico di proprietà di Cariverona, sia emerso che il Comune potrebbe vedersi restituire uno di quei palazzi (per esempio, Palazzo Forti) cedendo in cambio a Cariverona quote azionarie da esso detenute. Azioni della Catullo SpA? Nessuno lo può dire. Ma quel che si può dire è che, se questo accadesse, si rafforzerebbe il fronte veronese «critico» nei confronti di Save. Proprio il presidente di Fondazione Cariverona, Alessandro Mazzucco, aveva duramente polemizzato, nello scorso ottobre, proprio con il presidente di Save Enrico Marchi: «Cariverona – aveva allora spiegato Mazzucco - è stata chiamata ad assumere un ruolo attivo sul tema da parte degli enti locali». E aveva lamentato una scarsa attenzione di Save allo sviluppo del Catullo a vantaggio di Venezia. Marchi aveva replicato dicendosi «scandalizzato», e dagli ultimi dati 2018 Verona è l’aeroporto che a Nordest cresce di più. Ma Adesso la domanda è: quelle scintille di fine ottobre hanno qualche rapporto con la decisione di Sboarina di denunciare i patti sociali, favorendo la cessione di quote azionarie a Cariverona? E l’alleanza tra Palazzo Barbieri e Fondazione, porterà ad una svolta di battaglia tra veronesi e veneziani sul futuro del nostro aeroporto? E se sì, fino a che punto? Intanto arrivano i primi commenti politici. Giorgio Pasetto (Liberal) definisce lo stop ai Patti «un passo avanti importante perché riprendere il controllo della Catullo SpA è sicuramente una buona notizia per i veronesi».
Per Michele Bertucco (Sinistra in Comune) c’è invece il rischio opposto: «Cambiare senza avere le idee chiare su dove andare a parare, - dice potrebbe dare il via libera a Save per impossessarsi dello scalo. I soci pubblici hanno i soldi necessari per partecipare all’aumento di capitale lanciato da Save? Non sembra. Alla fine, - conclude Bertucco - potrebbe esserci soltanto il via libera all’attuazione degli accordi con Cariverona, che in cambio delle destinazioni d’uso per gli immobili dell’ex isolato Unicredit si è impegnata ad aiutare Palazzo Barbieri nelle situazioni societarie complicate».