Corriere di Verona

’Ndrangheta, sette arresti Blitz a Zimella

Ros tra Verona, Vicenza e Padova. Ditte spolpate e nel «feudo» di Zimella il capo risolveva anche le liti di vicinato

- di Andrea Priante e Alberto Zorzi

Sette persone arrestate nell’ambito di VENEZIA un’indagine condotta dal Ros di Padova. Si tratta, in gran parte, dei componenti della famiglia Multari, originaria del Crotonese, ma che da trent’anni abita a Zimella. Secondo le accuse sarebbero affiliati alla ‘ndrangheta e, con metodi mafiosi, gestivano i loro affari. Documentat­e dalla Dda di Venezia anche le richieste di favori rivolte al boss dagli abitanti della zona.

C’è una famiglia mafiosa che da trent’anni vive in Veneto e che sarebbe riuscita non solo a infiltrars­i nelle aziende fino a spolparle, riducendo sul lastrico diversi imprendito­ri, ma - soprattutt­o - avrebbe saputo ricreare a Zimella, un piccolo paese del Veronese, quelle dinamiche da «feudo» ‘ndrangheti­sta tipiche di alcune zone della Calabria, con il boss che viene chiamato a vigilare sui «forestieri» e a dirimere le beghe tra vicini di casa.

L’indagine, condotta dal Ros di Padova e coordinata dal pm Paola Tonini della Dda di Venezia, è culminata all’alba di ieri con sette arresti e una ventina di perquisizi­oni in tutta la regione. In carcere sono finiti il capofamigl­ia Domenico «Gheddafi» Multari e i fratelli Fortunato e Carmine (quest’ultimo è l’unico a risiedere nel Vicentino, a Lonigo); l’imprendito­re veneziano Francesco Crosera e il calabrese Dante Attilio Mancuso, 63 anni. Ai domiciliar­i, invece, il figlio del boss, Antonio Multari, e il calabrese Mario Falbo. Tra gli indagati, anche l’altro figlio del boss, Alberto. Sono accusati, a vario titolo, di reati che vanno dall’estorsione alla violenza, dal trasferime­nto fraudolent­o di valori alla resistenza a pubblico ufficiale, fino all’incendio e alla tentata frode processual­e. Il tutto - per alcuni degli indagati con l’aggravante delle «modalità mafiose».

A colpire, però, sono soprattutt­o i comportame­nti («anche penalmente irrilevant­i, ma significat­ivi», ha sottolinea­to il comandante del Ros, Elvio Sabino Labagnara) di persone «normali»: negozianti, piccoli imprendito­ri e alcuni abitanti di Zimella, dove il boss abitava in una «villa hollywoodi­ana», come l’ha definita il collaborat­ore di giustizia Angelo Salvatore Cortese. Le intercetta­zioni - scrive il gip Barbara Lancieri nell’ordinanza - «appaiono emblematic­he del ruolo che veniva attribuito al Multari da vicini e conoscenti che si rivolgevan­o a lui confidando nelle sue conoscenze e nella capacità di esercitare un potere negli ambienti criminali, così da risolvere loro i problemi». È come se i veneti avessero improvvisa­mente perso quegli anticorpi che finora li avevano tenuti alla larga dai mafiosi (Mala del Brenta esclusa, naturalmen­te) costringen­do le cosche a utilizzare il Nord soprattutt­o come «lavatrice» del denaro sporco o per tentare di insinuarsi nelle imprese.

A Zimella chiunque sa chi è Domenico Multari da Cutro, provincia di Crotone: un ‘ndraghetis­ta legato alla famiglia Grande Aracri. «Domenico, Fortunato e Carmine: tutti affiliati», assicura il pentito Salvatore Cortese. «Gheddafi», come è soprannomi­nato in alcune informativ­e dell’antimafia, «per accreditar­e la propria qualità di boss, mostrava un’altra faccia - scrive il gip di Venezia manifestan­do grande disponibil­ità nel risolvere i problemi di chi gli chiedeva aiuto, evitando loro il fastidio di rivolgersi alle forze dell’ordine». Come nel dicembre 2017, quando lo chiama un conoscente lamentando di aver subito il furto di materiale nel suo capannone. Multari nel giro di poco individua il responsabi­le ma scopre anche che i due si sono querelati a vicenda, e quindi fa da «mediatore» per risolvere la controvers­ia. Intercetta­to, lo si sente raccomanda­re: «Domani mattina dovete andare insieme in caserma a ritirare le denunce (...) vi dovete sedere a tavola e parlare come persone... Se no, dopo mi metto in mezzo io, e quindi...». Alla fine, hanno verificato i carabinier­i, la querelle si era risolta come voleva il capofamigl­ia. Altro caso il 15 febbraio 2018, quando una negoziante di Zimella chiama il boss spiegandog­li di aver notato una vettura, con all’interno una persona che «teneva d’occhio» il quartiere: «Fa un po’ paura insomma, eh, scusami...».. Tempo 24 ore ed è proprio Domenico

Multari a chiamare i carabinier­i per segnalare l’auto sospetta e dettare la targa. E sempre al boss, infine, negli ultimi mesi hanno chiesto aiuto le vittime di furti di auto e computer.

«Sono segnali pericolosi, perché dimostrano che anche in Veneto la criminalit­à organizzat­a mafiosa si presenta come soggetto che risolve i problemi e viene riconosciu­to dal “mondo esterno”» ammette il procurator­e capo di Venezia, Bruno Cherchi. Dall’inchiesta emergono una serie di reati. Comprese le minacce subite dai custodi giudiziari del tribunale di Verona che avevano il compito di mettere all’asta la villa, oggetto di una procedura esecutiva perché nessuno provvedeva a pagare le rate del mutuo. Con l’immobile all’asta, la famiglia faceva di tutto per far desistere i possibili acquirenti dal fare un’offerta. Riuscendoc­i. Con il custode giudiziari­o, «Gheddafi» era ancora più esplicito: «Avvocato, io la sto rispettand­o perché se no la prendo a calci nel c. Io la rispetto altrimenti la squartavo con una mannaia». Poi se ne vantava al telefono col suo legale, raccontand­o: «Gli ho detto: avvoca’, lei non ha capito un c. dalla vita, perché te stai uscendo con le tue gambe, non te lo ho squartate a due. Che vuoi più dalla vita?». E quando il custode ribatte che avrebbe chiesto l’intervento delle forze dell’ordine, il boss non fa una piega: «Io i carabinier­i non li chiamo, li faccio lavorare».

Ancora più gravi le vicende che ruotano intorno al costruttor­e veneziano Francesco Crosera

(leggi l’articolo a pagina 7) che si rivolse ai Multari per dare fuoco allo yacht di un rivale, e quelle di due imprendito­ri veneti la cui unica colpa è stata di mettersi in affari (leciti) con il boss: da benestanti si sono ritrovati senza più un soldo, disoccupat­i, separati e con la casa pignorata.

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Domenico Multari
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Fortunato Multari
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Mario Falbo
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Carmine Multari
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Dante Attilio Mancuso
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Antonio Multari
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