Udinese-Chievo è il derby della crisi
Due club per anni sugli scudi in serie A ma, ora, alle prese con lo spettro della retrocessione
Il derby del Triveneto è il derby della crisi. Un B Movie, se guardiamo allo spettro che vi fa da sfondo. Qui Dacia Arena: quella di domenica è una partita a scacchi con la paura. La classifica perpetua di serie A dice: Chievo, 735 punti in 17 edizioni, Udinese, 1.814 punti in 46 campionati. La classifica di oggi è un salto nel buio: Chievo laggiù in fondo, 9 gettoni, Udinese quintultima, quota 19.
Due club, mille nodi venuti al pettine. Tecnici, soprattutto. Fino alla scorsa stagione, il Chievo aveva sfruttato l’onda lunga della vecchia gestione dell’ex diesse Sartori, migrato nel 2014 all’Atalanta. L’ossatura di squadra era in buona parte figlia di quel passato. A rendita esaurita, o in via di esaurimento, tra nuovi acquisti e cessioni è andata persa un’ampia fetta di solidità. La stessa Udinese, del resto, s’è scoperta più esotica (la solita rosa multinazionale) che concreta, intelaiatura indefinita e l’addio nel 2016 di Totò Di Natale — il suo alter ego clivense, per esperienza, è Sergio Pellissier, ora infortunato — a lasciare un vuoto (anche) di leadership e carisma. È sotto gli occhi: sbracciano in un mare di problemi, dopo anni di cabotaggio consolidato, il Chievo e l’Udinese che fra quattro giorni si giocano tanto del proprio futuro in 90’. I gialloblù incassano una caterva di gol (-47), ne segnano pochi, soffrono continuamente d’infermeria (Tomovic, Depaoli, Pellissier), da Di Carlo hanno attinto spirito e idee operaie ma dal mercato hanno incassato più perdite (Radovanovic, Birsa, Cacciatore) che aiuti. I friulani non trovano equilibrio, in attacco non andavano così male dal ‘93 (solo 18 gol fatti), il paradosso è che il loro faro De Paul (6 reti) è orfano di precisa collocazione tattica.
Se i tifosi del Chievo sono incupiti dal fantasma dello scenario peggiore (per evitare la seconda retrocessione dal 2001 a oggi servono almeno 26 punti in 15 partite), quelli dell’Udinese contestano col silenzio. In entrambi i casi, si viene da più di un ribaltone. Di qua, fra il maggio scorso e oggi, quattro allenatori: Maran (ciclo esaurito), D’Anna (lanciato in A affidandogli una squadra palesemente indebolita), Ventura (tempo perso, un abbaglio madornale), Di Carlo (l’uomo cui è chiesta l’impresa quasi impossibile). Di là, otto allenatori fra il 2015 e oggi: Colantuono, De Canio, Iachini, Delneri, Oddo, Tudor, Velàzquez e Nicola. Quel Nicola che deve battere Sorrentino e soci per salvare la panchina. Era l’ultimo turno del torneo 2017-18 e sia Chievo che Udinese festeggiavano giusto lì, sul gong, l’agognata permanenza in A, dopo un’annata di traversie e sbuffi. Il clima non è cambiato, si cammina sempre sul filo, il Chievo dato per spacciato, l’Udinese in enorme affanno. È il derby del Triveneto: è il derby della crisi.