Corriere di Verona

«Foibe, il negazionis­mo Anpi pugnalata per noi Cossetto»

La cugina Loredana dopo le polemiche per il Giorno del Ricordo La parente di Norma: «In famiglia abbiamo il dolore nel Dna»

- di Antonio Spadaccino

«Siamo molto fieri di portare questo cognome. Anzi, siamo orgogliosi. Noi siamo gente che sta a casa propria, che per scelta non va nelle scuole a raccontare, che nel Dna ha il silenzio oltre al dolore per quello che ci è accaduto». Loredana Cossetto, 66 anni, triestina, è cugina di Norma, la giovane istriana di Santa Domenica di Visinada (oggi comune della Croazia), uccisa ad Antignana il 4 o 5 ottobre del 1943 dai partigiani jugoslavi. Aveva 23 anni, Norma Cossetto, era una studentess­a di Lettere e filosofia iscritta all’università di Padova. Fu stuprata, assassinat­a, infoibata e la sua storia ha ispirato il film «Red Land» di Maximilian­o Hernando Bruno con la sceneggiat­ura del padovano Antonello Belluco. Una pellicola la cui proiezione nelle sale venete ha fatto esplodere la polemica in occasione del Giorno del Ricordo, istituito per ricordare le vittime delle Foibe.

Signora Cossetto, come avete vissuto in famiglia le critiche dell’Anpi?

«Come un’altra pugnalata inferta a Norma. Non è facile convivere con queste situazioni».

Sembrerebb­e una sorta di negazionis­mo di sinistra...

«È negazionis­mo di sinistra. E si materializ­za ogni anno, anche se stavolta si è andati molto oltre. Noi istriani la verità la conosciamo. E quello che è accaduto a Norma noi della famiglia, purtroppo, lo sappiamo bene».

Ci vorrebbe meno ideologia nel valutare questi fatti?

«Guardi, noi non neghiamo che i fascisti o i nazisti abbiano fatto porcherie. Ma non accettiamo che venga negato ciò che è successo in Istria».

Negazionis­mo, ideologia... Ma alla fine, le chiediamo, non ritiene che le responsabi­lità di tutti gli eccidi siamo

da ricercare negli errori dell’uomo, spinto dalla cieca osservanza a una fede politica?

«Lo penso, eccome se lo penso. L’ideologia è solo un paravento. A sbagliare sono state le persone, fascisti o comunisti che fossero».

Lei ha visto il film «Red Land»? Se sì, che impression­e si è fatta?

«La prima volta che abbiamo assistito alla proiezione siamo rimasti quasi stupiti. Nel senso che ci aspettavam­o qualcosa di molto più crudo, più rispondent­e alla realtà della storia. Norma è stata pugnalata ai seni, violentata e tanti altri particolar­i che non me la sento di raccontare. Però è un film e, come tale, ci si trova qualcosa di vero e qualcos’altro di romanzato».

La storia di Norma a lei chi l’ha raccontata?

«Mio padre Giovanni. Era coetaneo di Norma, andavano a scuola assieme. Fu lui ad andare a tagliare il filo di ferro che le legava i polsi quando uscì dalla foiba nei pressi di Villa Surani».

Dura...

«Durissima, mi creda. Ogni volta che da Trieste si andava in Istria lui se ne stava in silenzio. Turbato dai ricordi, da quelle scene che gli erano rimaste impresse».

Quando ha saputo tutto?

«Non prima degli anni Settanta. Mio padre fino ad allora non mi aveva detto alcunché. Poi, grazie anche alla presenza di Licia, la sorella di Norma, prese coraggio e iniziò a narrare quello che sapeva, quello che aveva visto con i suoi occhi».

Licia, la sorella di Norma, raccontò questo: «Ancora adesso la notte ho gli incubi, al ricordo di come l’abbiamo trovata. Mani legate dietro alla schiena, tutto aperto sul seno il golfino di lana tirolese comperatoc­i da papà la volta che ci aveva portate sulle Dolomiti, tutti i vestiti tirati sopra all’addome [...] sono convinta che l’abbiano gettata giù ancora viva». L’ha raccontato anche a lei?

«Sì, è tutto vero. Per questo le dico che le critiche dell’Ampi, per noi che conosciamo la storia, sono un’ulteriore pugnalata. E non credo che la mia famiglia meriti questo».

Che ruolo ha avuto, e ha tuttora, Norma nella vita della vostra famiglia?

«È sempre con noi. E non potrebbe essere altrimenti. Conservo gelosament­e il diario di mio padre Giovanni. Mi sono fatta scrivere da lui alcuni ricordi. Li sfoglio, li leggo, mi commuovo. E poi...».

E poi?

«E poi noi portiamo il cognome di Norma. Era una ragazza di 23 anni, chissà mai cosa avrebbe potuto fare...».

Ma non sentite il bisogno di raccontare voi la storia di vostra cugina, al di là della predisposi­zione al silenzio di cui ci ha accennato prima?

«Mia sorella Diana in questo è più brava di me. Si muove bene, usa i social, ha pubblicato alcune lettere. Diciamo che un po’ alla volta ci stiamo attivando».

Signora Cossetto, provi a chiudere le polemiche dopo il Giorno del Ricordo...

«Posso dire questo: noi abbiamo rispetto per i morti degli altri. Però questa è la nostra storia e vorrei che anche gli altri avessero rispetto per i miei morti. E quella di Norma, lo ribadisco, è - purtroppou­na storia vera».

Loredana Norma è sempre con noi, siamo orgogliosi del nostro cognome

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Al cimitero Loredana Cossetto, triestina di 66 anni, sulla tomba della cugina Norma e del padre di lei, Giuseppe uccisi dai partigiani jugoslavi

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