Autonomia, Tria frena sulle tasse
Il ministro dell’economia gela le aspettative leghiste e dice che l’impatto finanziario della riforma non è calcolabile
Il ministro: «Incostituzionali alcune richieste». Ma Zaia pensa positivo: «Limeremo»
Protagonista della giornata politica di ieri il mi- nistro all’Economia Giovanni Tria. Dopo aver creato una bufera in seno alla maggioranza sulla questione dell’Iva è entrato a piedi uniti anche sulla riforma dell’autonomia, tanta cara alla Lega: «Alcune richieste sono incostituzionali, sul sistema tributario la competenza esclusiva dev’essere dello Stato». Quindi niente tasse trattenute alla fonte dal Veneto. Zaia non va allo scontro e resta positivo: «Limature».
Tria Sarà possibile conoscere gli effetti finanziari della riforma solo dopo i decreti attuativi
La faccia da professore vero, un accademico prestato alla politica; le parole - sulla riforma dell’autonomia - usate invece come la clava dei Flintstone nel celebre cartoon della Hanna-Barbera. Protagonista assoluto della giornata politica di ieri è stato il ministro all’Economia, il «tecnico» professor Giovanni Tria. Che dopo aver creato - ieri l’altro - una bufera in seno alla maggioranza di governo sulla questione dell’Iva («senza misure crescerà al 25%», la sua dichiarazione), in Commissione bicamerale sul federalismo fiscale è entrato a piedi uniti anche sulla riforma dell’autonomia, tanta cara alla Lega Nord, al Veneto e al suo governatore Luca Zaia, mettendo in risalto i tanti punti oscuri che ancora stanno accompagnando l’impianto della nuova legge. Il nocciolo della questione viene sviscerato dal ministro Tria alla pagina 15 della sua relazione. Il titolo è già di per sé esaustivo: «Effetti finanziari della eventuale definizione di intese tra Stato e regione ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione». Stona quell’ «eventuale», quasi a rimarcare che la riforma sull’autonomia differenziata è ancora molto in là da venire.
Ma poi Tria è ancora più tranchant: «Segnalo che in alcuni casi - dice - le richieste regionali non appaiono del tutto coerenti con i principi costituzionali». Necessario prendere fiato dopo questo incipit, poi ecco la spiegazione: «Tali richieste sono spesso inerenti a materie diverse da quelle elencate nella Costituzione e che, pertanto, vista la tassatività del disposto costituzionale, non possono essere oggetto di attribuzione. In particolare specifica il ministro - tra le norme costituzionali che non possono essere derogate deve ricomprendersi l’art. 117, secondo comma, lettera e, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato».
Chi era in aula ha raccontato del gelo che è calato, con tutte le forze politiche pronte a intervenire e la Lega in silenzio, quasi all’angolo. Ma l’affondo di Tria era solo all’inizio... «Gli schemi di intesa - ha ripreso non quantificano sin da subito le risorse finanziarie, umane e strumentali, ma costituiscono il quadro generale di riferimento». In pratica, non si sa ancora dove si andrà a parare. E la successiva specificazione di Tria aiuta a capire meglio come intende muoversi il governo: «Sarà quindi possibile spiega il titolare dell’Economia - conoscere gli effetti finanziari dell’autonomia differenziata solo a seguito dell’emanazione dei vari Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dpcm)». Ciò significa che l’esecutivo Conte procederà con un legge quadro cui faranno seguito una serie di Dpcm e così andrà all’esame delle Camere (ammesso e non concesso che venga stabilito che ci debba essere un passaggio parlamentare). «E non la voteremo», tuonano a stretto giro di posta le opposizioni. Anche perché, ed è il ministro Tria a tornare protagonista, «nell’attuale fase embrionale - dice - non è possibile esprimere una valutazione degli impatti sulla finanza pubblica». Ma perché si è ancora a questo punto? La spiegazione la fornisce ancora Tria parlando dei Livelli essenziali di prestazioni (i famosi Lep) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. È la legge n. 42/2009 a prevedere la copertura integrale della differenza tra le entrate e le spese standardizzate per le funzioni riconosciute come fondamentali (ovvero sanità, assistenza e istruzione). Ma il ministro, anche su questo punto, entra a gamba tesa. «I Lep - dice - non risultano definiti, se non limitatamente al settore sanitario, con la conseguenza che manca il punto di riferimento per la definizione del giusto livello di risorse per ciascun ente».
Finita qui? Macchè... «L’assenza dei Lep - riprende Tria assieme alla carenza di risorse finanziarie e alla mancata riforma del catasto, rende poco agevoli le scelte per il progressivo abbandono del criterio della spesa storica (ovvero quanto ogni singola Regione spende per i servizi di sua competenza, ndr) in favore del criterio dei fabbisogni e capacità fiscale standard (ovvero la definizione del costo di un servizio, prendendo a riferimento la Regione più “virtuosa”, vale a dire quella che presta i servizi ai costi “più efficienti”, ndr)».
Una relazione «tecnica» quella del ministro Tria, che ha scatenato una serie di reazioni che hanno alimentato non solo lo scontro tra forze politiche avverse, ma anche tra componenti degli stessi partiti ma di provenienza territoriale diversa. Una concessione, comunque, Tria l’ha fatta. Partendo dal federalismo fiscale, il ministro ha sentenziato: «Ritengo che il disegno della legge delega del 2009 sia ancora ampiamente condivisibile. Il percorso che condurrà alla sua piena attuazione deve quindi continuare, potenziando l’autonomia finanziaria oggi riconosciuta solo in parte agli enti decentrati».