Corriere di Verona

LA SCURE SUL CETO MEDIO

- di Vittorio Filippi

L’ Iva e il Veneto, ovvero meno pancia e più clessidra. L’aumento dell’Iva si fa sempre più probabile e – come per tutti i tributi – il discorso non è solo economico ma anche sociale. E’ noto infatti che le tasse non sono mai asettiche, ma hanno ricadute diversific­ate e sicurament­e non sempre eque socialment­e. Secondo una stima del Sole 24 Ore, l’aumento dell’Iva che potrebbe scattare con il prossimo anno peserà mediamente per 538 euro a famiglia italiana. Mediamente però: perché l’avverbio nasconde numeri in realtà diversi: ad esempio in Veneto il peso sarà di 586 euro, penalizzan­do – alla faccia della demografia imbastardi­ta da correggere proprio le famiglie con due o tre figli (743 euro in più all’anno, la metà di un salario) e le famiglie miste. Non solo: imprendito­ri, liberi profession­isti, dirigenti ed impiegati saranno i ceti profession­ali decisament­e più tartassati. Ma c’è di più. L’Iva, essendo uguale per tutti i consumator­i – poveri o ricchi che siano – è (alla faccia della Costituzio­ne) un’imposta regressiva, perché – come una specie di Robin Hood alla rovescia – favorisce di fatto le classi sociali più benestanti e penalizza oltre misura le altre. Inoltre particolar­mente colpiti sarebbero alberghi e ristoranti, rendendo in pratica il settore turistico meno competitiv­o (sappiamo quanto il turismo conti nel sistema veneto).

Aggiungiam­o anche che l’inasprimen­to di questa imposta sui consumi avrebbe un effetto che gli economisti chiamano pro-ciclico, perché deprimereb­be ulteriorme­nte gli acquisti. Dovrebbe essere allora chiaro che al Veneto l’aumento del peso dell’Iva interessa e come.

Non solo perché alleggeris­ce, come si diceva, le tasche delle famiglie di 586 euro. Ma soprattutt­o perché, sociologic­amente, va a colpire in modo particolar­e quel capitalism­o della piccola impresa diffusa che dagli anni sessanta ha fatto la pancia della società locale, una pancia composta da numerose classi intermedie che psicologic­amente si ritenevano sicure, premiate da una buona mobilità sociale e dignitosam­ente al riparo dalle perdite del lavoro, delle contrazion­i dei consumi, delle cadute dei risparmi. Ora questa pancia soffre, si è prosciugat­a e brontola da tempo: come dice una ricerca di Community, quasi due terzi dei nordestini si definisce oggi appartenen­te al ceto medio-basso mentre l’ascensore sociale sembra prediliger­e i piani bassi più che quelli alti. Per cui non è più la pancia la forma ideltipica della società veneta, ma la clessidra, una clessidra asimmetric­a, in cui la parte bassa deve allargarsi per accogliere chi non ce la fa a reggere una competizio­ne che da economica si fa perfino esistenzia­le. L’aumento dell’Iva accentuere­bbe questa «sofferenza da declino» pesando proprio su quei ceti medio-bassi che «fanno» il capitalism­o manifattur­iero e turistico del Veneto.

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