LA SCURE SUL CETO MEDIO
L’ Iva e il Veneto, ovvero meno pancia e più clessidra. L’aumento dell’Iva si fa sempre più probabile e – come per tutti i tributi – il discorso non è solo economico ma anche sociale. E’ noto infatti che le tasse non sono mai asettiche, ma hanno ricadute diversificate e sicuramente non sempre eque socialmente. Secondo una stima del Sole 24 Ore, l’aumento dell’Iva che potrebbe scattare con il prossimo anno peserà mediamente per 538 euro a famiglia italiana. Mediamente però: perché l’avverbio nasconde numeri in realtà diversi: ad esempio in Veneto il peso sarà di 586 euro, penalizzando – alla faccia della demografia imbastardita da correggere proprio le famiglie con due o tre figli (743 euro in più all’anno, la metà di un salario) e le famiglie miste. Non solo: imprenditori, liberi professionisti, dirigenti ed impiegati saranno i ceti professionali decisamente più tartassati. Ma c’è di più. L’Iva, essendo uguale per tutti i consumatori – poveri o ricchi che siano – è (alla faccia della Costituzione) un’imposta regressiva, perché – come una specie di Robin Hood alla rovescia – favorisce di fatto le classi sociali più benestanti e penalizza oltre misura le altre. Inoltre particolarmente colpiti sarebbero alberghi e ristoranti, rendendo in pratica il settore turistico meno competitivo (sappiamo quanto il turismo conti nel sistema veneto).
Aggiungiamo anche che l’inasprimento di questa imposta sui consumi avrebbe un effetto che gli economisti chiamano pro-ciclico, perché deprimerebbe ulteriormente gli acquisti. Dovrebbe essere allora chiaro che al Veneto l’aumento del peso dell’Iva interessa e come.
Non solo perché alleggerisce, come si diceva, le tasche delle famiglie di 586 euro. Ma soprattutto perché, sociologicamente, va a colpire in modo particolare quel capitalismo della piccola impresa diffusa che dagli anni sessanta ha fatto la pancia della società locale, una pancia composta da numerose classi intermedie che psicologicamente si ritenevano sicure, premiate da una buona mobilità sociale e dignitosamente al riparo dalle perdite del lavoro, delle contrazioni dei consumi, delle cadute dei risparmi. Ora questa pancia soffre, si è prosciugata e brontola da tempo: come dice una ricerca di Community, quasi due terzi dei nordestini si definisce oggi appartenente al ceto medio-basso mentre l’ascensore sociale sembra prediligere i piani bassi più che quelli alti. Per cui non è più la pancia la forma ideltipica della società veneta, ma la clessidra, una clessidra asimmetrica, in cui la parte bassa deve allargarsi per accogliere chi non ce la fa a reggere una competizione che da economica si fa perfino esistenziale. L’aumento dell’Iva accentuerebbe questa «sofferenza da declino» pesando proprio su quei ceti medio-bassi che «fanno» il capitalismo manifatturiero e turistico del Veneto.