Il grande evasore chiede scusa
«Scrivo non per trovare una giustificazione ma per chiedere scusa della sofferenza provocata e per sottolineare la completa estraneità dei miei fratelli e della Fondazione Fontana rispetto a queste vicende».
In una lettera aperta diffusa ieri, l’imprenditore padovano Damiano Pipinato attivo nel settore delle calzature e finito nelle carte dell’inchiesta riguardante il sequestro del presunto «tesoro» dell’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, si cosparge il capo di cenere. E pur non essendo indagato, si mostra pentito per lo stratagemma architettato insieme con i commercialisti Paolo Venuti e Guido e Christian Penso (gli stessi di Galan), che in passato, come proprio lui ha ammesso, gli ha consentito di nascondere al fisco una somma tra i 35 e i 40 milioni di euro. Soldi portati all’estero tramite una società costituita ad
hoc, la Orden Properties, e poi fatti rientrare in Italia, sanando in toto la sua posizione, con lo strumento fiscale della «voluntary disclosure».
L’imprenditore, nella lettera, ammette di aver «fatto scelte sbagliate che oggi non rifarei» e chiede «scusa in particolare a don Gabriele». Ovvero suo fratello, don Gabriele Pipinato, vicario episcopale per i beni temporali della Diocesi di Padova e membro del consiglio d’amministrazione della Fondazione Fontana. Cioè la onlus che si occupa di cooperazione internazionale e che ha sede al civico 3 di via Francesco Scipione Orologio, nello stesso edificio in cui si trova uno dei negozi di Damiano Pipinato.