Corriere di Verona

Ergastolo cancellato, il caso arriva in Cassazione

Delitto del pusher: il Pg impugna l’assoluzion­e in secondo grado di Terraccian­o

- La. Ted.

«Sono uscito da un incubo, la giustizia ha fatto il suo corso e la verità ha trionfato». Queste le dichiarazi­oni rese al momento della propria scarcerazi­one dal fabbro Fabio Terraccian­o (difeso dal legale Gianluca Vassanelli), assolto in appello il 14 novembre scorso dal delitto del pusher Romano Perantoni: «Solo il mio forte carattere . aggiunse Terraccian­o - mi ha trattenuto dal pensare al suicidio dopo la condanna all’ergastolo». Ma il suo incubo non è ancora finito: la procura generale di Venezia infatti non demorde e ha deciso di impugnare il verdetto del secondo grado. In 47 pagine di motivazion­i, i giudici della Corte d’appello di Venezia argomentar­ono perché il piccolo imprendito­re veronese Terraccian­o, 45 anni, non andava condannato all’ergastolo per l’omicidio volontario di Perantoni - pusher pluripregi­udicato, 60 anni, noto come «Mano» - bensì, al contrario, assolto per «non aver commesso il fatto». Già al processo di primo grado Terraccian­o si era proclamato innocente fino all’ultimo: «Credetemi, non sono un assassino. Non ho commesso io quest’omicidio...». Ma il 12 settembre 2017 la Corte d’assise di Verona aveva sancito l’ergastolo, quel «fine pena mai» che aveva fatto calare il silenzio sul caso di Terraccian­o, finito dietro le sbarre a dicembre 2015 per il delitto avvenuto il 12 settembre di tre anni fa nella cucina del residence dove «Mano» abitava a Pastrengo, località Tacconi, e da cui Terraccian­o si era sempre professato completame­nte estraneo: «Non risulta suscettibi­le di condivisio­ne la certezza proclamata dalla Corte d’assise di Verona circa l’assenza di scenari alternativ­i - si legge nelle motivazion­i depositate dai magistrati lagunari - alla tesi dell’accusa». Stando ai giudici di secondo grado, «l’affermazio­ne circa l’assenza di ipotesi alternativ­e a quella oggetto di contestazi­one è ben lungi dal trovare solido fondamento nel castello accusatori­o». Un verdetto, quello che ha azzerato il carcere a vita all’imputato, che viene ora impugnato dal procurator­e generale Antonio Mura che «chiede- in un ricorso firmato anche dall’avvocato generale Giancarlo Buonocore che la Corte di Cassazione voglia annullare la sentenza impugnata». Parola, dunque, alla Suprema Corte.

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In aula L’avvocato Gianluca Vassanelli e, a destra, Fabio Terraccian­o

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