Buco nei conti, 7 anni e 4 mesi al commercialista «infedele»
«S’intascò un milione»: l’Appello non fa sconti a Bovo
Nessuno sconto ieri in appello per Marco Bovo, il commercialista di Povegliano ritenuto responsabile in primo e secondo grado del mega ammanco a sei zeri ai danni delle casse pubbliche che gli costò anche l’arresto.
Tuttora ristretto ai domiciliari per il milione e 200 mila euro «spariti» - stando all’accusa formulata a suo carico dal pm Gennaro Ottavianodalle casse della Gsi (Gestione servizi integrati), società partecipata dal Comune di Vigasio, ieri il manager «infedele» si è visto confermare in appello i 7 anni e 4 mesi a cui era stato condannato in primo grado a Verona dal giudice Raffaele Ferraro (sentenza che risale al 24 luglio scorso) con il rito abbreviato (che garantisce lo sconto di un terzo sulla pena).
Difeso dal legale Alberto Franchi, l’ormai ex amministratore è stato parzialmente condannato a risarcire all’amministrazione comunale di Vigasio, costituita parte civile con il legale Luca Sorpresa.
Accusato di peculato, bancarotta, autoriciclaggio, false comunicazioni e falsificazione di bilancio, davanti al gup Ferraro aveva cercato di dituttavia, fendersi riconducendo la propria condotta alla «morsa dei cravattari ».
In pratica aveva fatto riferimento a presunte pressioni ai suoi danni da parte di alcuni usurai: una versione su cui, il pm Ottaviano aveva escluso riscontri sollecitandone la condanna a 8 anni.
A far scattare il carcere, disposto nel 2017 dal gip Laura Donati, era stato soprattutto il pericolo di reiterazione del reato da parte del professionista, con un passato nelle fila dell’Udc.
Nonostante l’addio alla Gsi di Vigasio di due anni prima, il manager aveva infatti continuato a svolgere l’incarico di revisore dei conti per il Comune di Erbè e a lavorare nel collegio dei revisori del Comune di Scorzè, nel Veneziano. Dopo la sentenza di ieri, la difesa ha subito annunciato un ulteriore ricorso in Cassazione, sostenendo «l’insussistenza dell’autoriciclaggio e la non cumulabilità dei reati di peculato e bancarotta». Deciderà la Suprema Corte.