Corriere di Verona

Antonello: società ipocrita Si stupisce ma non vuol vedere

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Franco Antonello la conosce «Casa Sebastiano».

È una delle 72 associazio­ni italiane a cui finanzia progetti dedicati con la sua impresa sociale «I bambini delle fate», fondata nel 2005 a Castelfran­co Veneto «per sostenere economicam­ente percorsi di inclusione a beneficio di famiglie con autismo e altre disabilità». Franco, imprendito­re, e suo figlio Andrea, al quale l’autismo è stato diagnostic­ato quando aveva 2 anni e mezzo (ora ne ha 25), sono famosi. La loro storia è stata narrata da Fulvio Ervas nel libro «Se ti abbraccio non avere paura», da cui Gabriele Salvatores ha tratto il film di imminente presentazi­one alla Mostra del Cinema di Venezia. Ma anche loro hanno vissuto momenti molto difficili.

«Piena e totale solidariet­à, anche se non li conosco, ai genitori del bimbo protagonis­ta di una vicenda che può stupire solo gli ipocriti — dice Franco Antonello —. Noi riceviamo fino a 30 e-mail al giorno con segnalazio­ni dello stesso tenore, da parte di persone che ci scrivono la loro disperazio­ne. La solitudine frutto dell’abbandono di una società che non vuole vedere. È la quotidiani­tà per queste famiglie. Se non hai un buon livello culturale e consistent­i risorse economiche, non ce la fai. Nessuno ti aiuta».

Ci è passato anche lei?

«Io sono in questo mondo da 15 anni. Me li immagino i genitori del bimbo: saranno distrutti. Le mamme ingrigisco­no prima, i padri sentono solo frasi di circostanz­a da conoscenti che li compatisco­no. Per forza non vogliono più il figlio, non sanno come fare. Una situazione comune a 400mila famiglie italiane: un neonato ogni 60 soffre di autismo, per ogni Down ci sono 12 autistici. Per molti pazienti la vita è fatta di psicofarma­ci e centri inadeguati, dove trascorron­o lunghe ore sedati in una stanza, perfino legati. Abbandonat­i e dimenticat­i da tutti».

Ecco l’ipocrisia.

«Chi parla ha mai provato a stare 24 ore con un ragazzo autistico? Per cominciare a vedere una soluzione bisogna incontrare la persona giusta, operatori volenteros­i e mal pagati e volontari bravi che però per vivere devono fare altri lavori. Nessun governo potrà mai risolvere il problema se nessuno ha mai 10 minuti di tempo per ascoltare questi ragazzi. Sono lasciati nella solitudine più totale, gli unici amici sono mamma e papà ed è qui che nasce il problema». (m.n.m.)

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