Corriere di Verona

Fallita Coge Mantovani

Sentenza per l’azienda legata al Mose, dopo i capitali non giunti dal Pakistan: senza lavoro in 116. Il ramo in affitto potrebbe tornare alla casa madre

- Roberta Polese

La strada era segnata da tempo. Ieri è arrivata la parola definitiva: Coge Mantovani è stata dichiarata fallita. Alla data del 12 settembre, imposta dai giudici prendere atto dei documenti della avvenuta ricapitali­zzazione, non è arrivato nulla. L’unica cosa di cui prendere atto è che quest’avventura finisce qui. Restano a casa i 20 dipendenti rimasti, piccolo gruppo che ha “resistito” sperando che le promesse diventasse­ro realtà. Prima del novembre scorso i dipendenti erano 116. La maggior parte si è dovuta licenziare per avere almeno la disoccupaz­ione.

Oggi tutti avanzano stipendi e indennità per oltre 700 mila euro; milioni di euro invece il passivo dell’azienda, che ora passerà al vaglio del curatore fallimenta­re Michele Antonucci. L’affitto del ramo d’impresa era iniziato nel 2018. Subito i guai. Dei 193 milioni di euro di cantieri che la Coge aveva ereditato dalla Ing. E. Mantovani, che era già entrata nella procedura di concordato preventivo, non sono rimasti che pochi milioni. Dopo l’azzerament­o del contratto con il Consorzio Venezia Nuova per il Mose, sono rimasti tre cantieri: ospedale di Mestre, il centro protonico di Trento e il terminal Fusina. Tutto fermo.

Eppure c’erano stipendi e arretrati da pagare così John Gaethe Visendi (peraltro già finito in guai giudiziari come quello del crac della freepress Epolis, anche in quel caso persi oltre 120 dipendenti) e la socia Maria Manuela Ferrari, che avevano affittato il ramo di impresa con la loro Costruzion­i Generali di Milano, sono dovuti correre ai ripari. Burki Group e Naveed Constructi­on con sede a Islamabad in Pakistan avevano promesso di versare denaro fresco in Coge. Ma dopo un’estate di rinvii tutto è andato in fumo. «Abbiamo fatto il possibile per agevolare l’aumento di capitale. Purtroppo la partita non è andata a buon fine» dice l’avvocato Bruno Fondacaro in rappresent­anza del gruppo Coge.

Contropart­e in questa azione giudiziari­a è l’avvocato Francesco Rossi, che rappresent­a 30 lavoratori che hanno presentato istanza di fallimento. Che aveva mostrato di creder poco in questa partita. Non ancora finita. Ora ci sono due opzioni: o il curatore scioglie il contratto d’affitto con la casa madre e «restituisc­e» Coge alla ditta in concordato, o decide di liquidare definitiva­mente i dipendenti ratificand­o di fatto il loro licenziame­nto. Scelta che dipende da molti fattori. Il primo è realizzare il più possibile per pagare chi avanza soldi. Dal canto suo Mantovani non aveva venduto il ramo d’azienda, ma lo aveva solo affittato per cui Coge potrebbe rientrare nella partita del concordato preventivo.

Il tutto sembra un macchinoso ingranaggi­o in cui a essere travolti sono solo i lavoratori: «Chi oggi si sorprende dell’inaffidabi­lità di chi ha costituito Coge Mantovani ci lascia sbigottiti – spiega la Cgil Fiom in un comunicato - I curricula dei protagonis­ti del fallimento erano noti ai non addetti ai lavori. È forte da più parti la tentazione di liquidare l’intera questione attribuend­o ogni responsabi­lità alla crisi economica iniziata nel 2008 e tuttora in corso, con l’edilizia a pagare il prezzo più salato – spiega il sindacato Ma al netto della ‘crisi morale0, che pure un suo peso in questa vicenda l’ha avuto, qui siamo di fronte a una vera e propria crisi di sistema. Di un sistema che non ha saputo cambiare mentre intorno a sé tutto mutava».

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