REGIONALI FRA TRE INCOGNITE
Lo scenario elettorale del Veneto, in prospettiva delle elezioni regionali del 2020, vede come protagonista, sempre più, la politica nazionale. Il ceto politico attualmente al potere in regione ha tutte le condizioni per poterci rimanere: Zaia potrà, volendo, correre per un terzo mandato. La legge regionale del 2018 ha abolito il vincolo dei due mandati per i consiglieri (che evidentemente vogliono correre per un terzo). Introducendo le pluricandidature in tutti i collegi, la stessa legge favorisce i candidati di maggiore visibilità, che, di solito, sono quelli già al potere. Tutto sembrerebbe spingere verso una placida riconferma del quadro politico attuale, attestato peraltro dalla popolarità personale del presidente della Regione, sempre ai livelli più alti. A mettere un po’ di agitazione in acque anche troppo chete – e a una riconferma scontata – ci sta pensando la politica nazionale, e suoi importanti protagonisti, tutti non veneti. Il primo è il romano Carlo Calenda, trionfalmente eletto nel collegio Nordest e con quartier generale in Veneto, con un elevato numero di preferenze personali (275.000: il 20% dei voti presi dal Partito Democratico) alle recenti elezioni europee, e ora uscito dal Pd per costituire un proprio partito. Quanti di quei voti veneti (liberali, moderati o moderatamente progressisti, legati ai ceti produttivi), una parte dei quali alle regionali era certamente più sul versante «zaiano» che su quello «piddino», lo seguiranno?
Secondo protagonista è il fiorentino Matteo Renzi: che all’epoca della sua parabola ascendente proprio dal Veneto aveva cominciato la sua trionfale cavalcata alla conquista del Pd nazionale. Anche lui oggi si è messo in proprio: quanto elettorato moderato e centrista potrebbe seguirlo? Il terzo protagonista è il milanese Matteo Salvini: ma al contrario rispetto agli altri. Grazie all’elettorato autonomista veneto, molti parlamentari del nord sono entrati in parlamento nella nuova Lega guidata da Salvini, che si è fatto eleggere nel Sud: quanto di questo elettorato è rimasto deluso dalla svolta sovranista, e dalla marginalizzazione della battaglia autonomista – rispetto ad altre – proprio mentre il partito che l’ha sostenuta localmente, anche per via referendaria, era al governo a Roma? Basterà dire che è stata colpa dell’alleato pentastellato? In questo quadro in rapido movimento, saranno possibili configurazioni, ricomposizioni e alleanze diverse: anche perché, va ricordato, le liste che fanno diretto riferimento a Zaia sono più forti di quelle della Lega (lo erano, almeno, alle scorse regionali). Nel contempo, il loro elettorato di riferimento non è troppo diverso da quello di Renzi e Calenda: l’interrogativo, per ora aperto, è se si spartiranno quello attuale, o lo aumenteranno, in particolare a spese del Pd (che vede molti dirigenti e militanti essi stessi in uscita, a seguito dei loro riferimenti nazionali, prefigurando un calo consistente di consensi per un partito che già non gode localmente di buona salute), ma anche di una Forza Italia in caduta verticale, e di una probabile erosione del M5S a seguito dell’esperienza governativa. Non c’è ancora una risposta, nemmeno una tendenza misurabile. Ma le aspettative di colpi di scena nell’una o nell’altra direzione sono oggi maggiori rispetto a quella che, fino a ieri, avrebbe potuto essere una scontata riconferma della situazione attuale.