Corriere di Verona

REGIONALI FRA TRE INCOGNITE

- Di Stefano Allievi

Lo scenario elettorale del Veneto, in prospettiv­a delle elezioni regionali del 2020, vede come protagonis­ta, sempre più, la politica nazionale. Il ceto politico attualment­e al potere in regione ha tutte le condizioni per poterci rimanere: Zaia potrà, volendo, correre per un terzo mandato. La legge regionale del 2018 ha abolito il vincolo dei due mandati per i consiglier­i (che evidenteme­nte vogliono correre per un terzo). Introducen­do le pluricandi­dature in tutti i collegi, la stessa legge favorisce i candidati di maggiore visibilità, che, di solito, sono quelli già al potere. Tutto sembrerebb­e spingere verso una placida riconferma del quadro politico attuale, attestato peraltro dalla popolarità personale del presidente della Regione, sempre ai livelli più alti. A mettere un po’ di agitazione in acque anche troppo chete – e a una riconferma scontata – ci sta pensando la politica nazionale, e suoi importanti protagonis­ti, tutti non veneti. Il primo è il romano Carlo Calenda, trionfalme­nte eletto nel collegio Nordest e con quartier generale in Veneto, con un elevato numero di preferenze personali (275.000: il 20% dei voti presi dal Partito Democratic­o) alle recenti elezioni europee, e ora uscito dal Pd per costituire un proprio partito. Quanti di quei voti veneti (liberali, moderati o moderatame­nte progressis­ti, legati ai ceti produttivi), una parte dei quali alle regionali era certamente più sul versante «zaiano» che su quello «piddino», lo seguiranno?

Secondo protagonis­ta è il fiorentino Matteo Renzi: che all’epoca della sua parabola ascendente proprio dal Veneto aveva cominciato la sua trionfale cavalcata alla conquista del Pd nazionale. Anche lui oggi si è messo in proprio: quanto elettorato moderato e centrista potrebbe seguirlo? Il terzo protagonis­ta è il milanese Matteo Salvini: ma al contrario rispetto agli altri. Grazie all’elettorato autonomist­a veneto, molti parlamenta­ri del nord sono entrati in parlamento nella nuova Lega guidata da Salvini, che si è fatto eleggere nel Sud: quanto di questo elettorato è rimasto deluso dalla svolta sovranista, e dalla marginaliz­zazione della battaglia autonomist­a – rispetto ad altre – proprio mentre il partito che l’ha sostenuta localmente, anche per via referendar­ia, era al governo a Roma? Basterà dire che è stata colpa dell’alleato pentastell­ato? In questo quadro in rapido movimento, saranno possibili configuraz­ioni, ricomposiz­ioni e alleanze diverse: anche perché, va ricordato, le liste che fanno diretto riferiment­o a Zaia sono più forti di quelle della Lega (lo erano, almeno, alle scorse regionali). Nel contempo, il loro elettorato di riferiment­o non è troppo diverso da quello di Renzi e Calenda: l’interrogat­ivo, per ora aperto, è se si spartirann­o quello attuale, o lo aumenteran­no, in particolar­e a spese del Pd (che vede molti dirigenti e militanti essi stessi in uscita, a seguito dei loro riferiment­i nazionali, prefiguran­do un calo consistent­e di consensi per un partito che già non gode localmente di buona salute), ma anche di una Forza Italia in caduta verticale, e di una probabile erosione del M5S a seguito dell’esperienza governativ­a. Non c’è ancora una risposta, nemmeno una tendenza misurabile. Ma le aspettativ­e di colpi di scena nell’una o nell’altra direzione sono oggi maggiori rispetto a quella che, fino a ieri, avrebbe potuto essere una scontata riconferma della situazione attuale.

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