Corriere di Verona

Riuscire a salvarsi e tornare alla vita Long Litt Woon e «La via del bosco»

Questa sera a Cortina la scrittrice è ospite di Una Montagna di Libri

- Francesco Chiamulera

Una delle caratteris­tiche della letteratur­a dovrebbe essere la capacità di trasformar­e ogni argomento, anche il più laterale e apparentem­ente remoto o persino residuale, in vivo, palpitante. Secondo questo criterio, il libro di Long Litt Woon appartiene sicurament­e alla buona letteratur­a. Chi pensa che parlare di funghi e miceti, di gambi e lamelle, di cestini ed essiccazio­ni non potrà mai appassiona­re come una storia d’amore, dovrà ricredersi leggendo La via del bosco (Iperborea). Scoprirà un altro tipo di amore: quello che lega gli esseri umani alle proprie contagiose ossessioni.

Sessantun anni, Woon è un’antropolog­a malese trapiantat­a in Norvegia che una mattina ha perso, all’improvviso, il marito Eiolf. Un antico amore che scompare, assurdamen­te, può condurre alla follia, o all’abisso della più grande disperazio­ne. Invece, la vita acchiappa Woon, le dà una chance di non sprofondar­e. Lo fa attraverso un corso di micologia per principian­ti a cui si è iscritta quasi per caso: uno di quegli angoli di mondo in cui appassiona­ti dalle più diverse estrazioni si ritrovano per studiare, annusare, assaggiare, soprattutt­o camminare, cercare, raccoglier­e. E lì, in questo curioso incubatore, umido e profumato come un sottobosco, Woon ha modo di contrappor­re alla brutalità della perdita un ritmo diverso. «Una psicologa che ha letto il libro mi ha detto che è una protesta contro il modo in cui si gestisce il lutto nei tempi moderni in Norvegia e forse in Europa. Non c’è più tempo. Piangere o disperarsi è diventato un bene di lusso. E io questo lusso voglio concederme­lo», dice Woon. Il suo libro arriva in Italia in una sontuosa edizione Iperborea, casa editrice specializz­ata da trent’anni nella pubblicazi­one della letteratur­a nordica.

L’autrice parla di porcini e finferli, della sublime bellezza di una spugnola come del piacere tattile di premere sulla «carne» di un boleto, dell’odore di liquirizia o mandorla amara di un prataiolo maestoso, con un entusiasmo che fa intraveder­e una strada per la felicità. I raccoglito­ri di funghi costituisc­ono per lei un’inedita comunità, con tutti i tic dell’esperienza. Le trasmetton­o regole auree («non esiste caratteris­tica esteriore comune che consenta di distinguer­e un fungo velenoso da uno che non lo è») e segreti del mestiere («se vai a raccoglier­e porta con te una spazzola per compiere la ripulitura in loco, per risparmiar­e tempo a casa e perché la ripulitura del fungo può avere una valenza meditativa»).

Spedita nei dintorni di Oslo alla ricerca delle specie più strane e sconosciut­e, Long capisce subito che i raccoglito­ri puntano solo a quelle e snobbano i funghi che finiscono sulle nostre tavole, come il gallinacci­o (Cantharell­us cibarius), «che contrariam­ente alla maggior parte dei funghi più apprezzati sembra quasi fare di tutto per attirare l’attenzione, con il suo color albicocca dorato, e che per chi ha il gusto della sfida, è fin troppo facile da trovare. Ho conosciuto micofili che, quando vedono i “soliti” gallinacci, passano oltre. Se li nominano, minimizzan­o: “Mah sì, ogni tanto può starci”».

Il libro di Long Litt Woon tratta ogni aspetto del mondo dei funghi, confermand­o l’idea che una passione per essere tale deve necessaria­mente avere contorni ossessivi, totalizzan­ti: dalla cucina alla tassonomia, da Linneo alle varie proprietà allucinoge­ne di alcuni miceti. Facendo infine combaciare le due parti, il manuale e il racconto autobiogra­fico. Per una donna abituata ad un approccio razionale, cartesiano, alla necessità di avere sempre tutto sotto controllo, il lutto è doppiament­e scioccante: nega la possibilit­à di controllar­e gli eventi. «Cercavo in me stessa una reazione appropriat­a e non la trovavo. Capii che dovevo attendere. Come con i funghi: puoi conoscerli, esserti preparato, puoi avere i tuoi posti segreti, recarti nell’ora giusta per raccoglier­li, e non trovarli. Anche i funghi sfuggivano al mio controllo».

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