Pierpaolo Adda «I miei sogni tra le chitarre»
Musicista, produttore, scrittore e anche poeta «La mia vita è stata un sogno e la sua realizzazione»
Il riff delle chitarre elettriche, gli accordi che fraternizzano nell’anima: un uomo come Pierpaolo Adda incarna una generazione cui il mondo entro le mura andava stretto ed è uscita a prenderselo.
«Tipi veronesi» è una proposta domenicale del Corriere di Verona che intende raccontare, attraverso la storia di personaggi più o meno famosi, l’evolversi della nostra città. Uno sguardo al passato rivolto al futuro affidato alla penna del nostro collaboratore Lorenzo Fabiano. Per eventuali segnalazioni scrivere a corrierediverona@corriereveneto.it o lorenzo.fabiano@me.com
Il riff delle chitarre elettriche, gli accordi che fraternizzano nell’anima: spirito libero, che della sua vita ha fatto ciò che gli andava di fare, un uomo come Pierpaolo Adda incarna una generazione cui il mondo entro le mura andava stretto ed è uscita a prenderselo. Musicista, produttore, scrittore e poeta: «La mia vita è stata un sogno e la sua realizzazione» oggi, a 75 anni lui il suo eclettismo te lo spiega così. Primo di quattro fratelli, nasce a Soave, la sua Woodstock, il 29 giugno del 1944: papà Tito manda avanti un negozio di generi alimentari, mamma Maria dà una mano in bottega e si occupa della casa.
A Verona Pierpaolo sbarca per il liceo, al Messedaglia, dove si distingue come studente modello. Il primo approccio con la musica sono le lezioni di pianoforte, ma gli scantinati di Verona vibrano di fermento che affiora in superficie, così nel 1959 è ammaliato dal fascino della chitarra: «Mi accadde di ascoltare la Gretsch 6120 di Duane Eddy in “Rebel Rouser”. Poi vennero The Shadows, The Ventures e i mille altri gruppi». Adda scopre anche la batZambelli, teria: «Acquistai una De Bernardi da 60.000 lire: mio padre ne mise 15.000, il resto lo pagai a rate di 5.000 che mi dava mia mamma. Fu infatti proprio lei a spingermi e incitarmi a diventare musicista». Nel 1961 forma insieme a Giorgio Fedrigoli, Chicco del Greco, Paolo Corradi, sostituito poi da Gilberto Storari, gli Storms. È il 1963 quando sul treno che torna da Bologna, incontra Ennio Ottofaro e Damiano Pelanda, dei Kings: «Con il frontman Eugenio in arte Dino, avevano appena siglato un contratto con la Rca. La casa discografica aveva imposto il cambio alla batteria e alla chitarra ritmica, mi proposero di entrare nel gruppo: risposi di sì a patto che con me entrasse anche Gilberto Storari. La mia avventura con i Kings ebbe inizio quel giorno». Il gruppo riscuote successo, i Kings appaiono persino sul grande schermo nel film di Ettore Scola «La Congiuntura» con Vittorio Gassman e Joan Collins, e pure in un Carosello televisivo con Marcello Marchesi. Poi la rottura nel 1965: «Per il Cantagiro avevamo registrato il pezzo “Il Ballo della Bussola”: la Rca preferì l’arrangiamento di Ennio Morricone al nostro, decisamente più rock. Non accettammo e al Cantagiro Dino ci andò da solo».
Al suo posto, dai Misfits arriva Renato Bernuzzi, o più semplicemente Renato, e con lui un contratto con la Durium: i Kings incidono sei singoli, un album, partecipano al Cantagiro del 1966, sono la prima band a registrare Bob Dylan in italiano, poi la fine: «L’ultimo singolo fu “Caffè Amaro”. Nel 1966 fui chiamato al servizio di leva. Quando tornai, i Kings si erano sciolti». Adda riprende gli studi, nel 1971 si laurea a Padova in Scienze Politiche, ma non lascia la musica: alla Numero Uno, la casa discografica di Lucio Battisti, lui e Ennio Ottofaro lavorano come produttori del gruppo Alpha Centauri, ma senza grandi fortune. Pierpaolo svolta, dà un seguito ai suoi studi, e avvia un percorso nel mondo bancario: «Salii fino a direttore e capo area del Veneto, ma quello non era il mio abito. Nel 1997 dopo ventisette anni dissi basta. Era ora di dare alla mia vita un altro senso». Al suo vero amore è sempre rimasto ancorato: nel 1994 lancia a Soave il Guitar Festival, che fino al 2012 radunerà i migliori chitarristi del mondo: «Me lo chiedono in tanti, e l’idea di farlo ripartire c’è, ma non più a Soave». La sua attività è fertile; collabora con la rivista Guitar Club, compone poesie, scrive cinque libri, tra cui l’autobiografia con la storia dei Kings, il cui titolo non può che essere «Caffè Amaro». A Verona si accorda con Giambattista Zerpelloni di Musical Box, polo d’attrazione in tutta Italia per gli strumenti musicali, all’interno del quale nel 1998 Adda apre il suo Guitar Ranch, il suo giardino fiorito di chitarre vintage: il Ranch è frequentato da artisti di fama come Zucchero, i Pooh, Ligabue, Le Vibrazioni, i Negramaro, Paola Turci, Fiorella Mannoia e molti altri. Fino al 2006: «Subii due furti a distanza di due giorni. Mi portarono via 157 chitarre, mi derubarono di trent’anni di vita». Adda non si abbatte, rimette in piedi la sua collezione e trasforma il negozio in un museo che tiene aperto fino al 2015. Quattro figli, l’amore per Antonella («È stata lei a darmi la forza per ripartire») e un vulcano di idee: «Amo la vita. Quando mi sveglio, penso che oggi può essere meglio di ieri». E allora per domani, qualcosa ci riserverà. A uno così, glielo leggi negli occhi.
Gli esordi «Fu mia madre a esortarmi e a spingermi a suonare»