Una cassaforte con soldi dello Stato cui sommare l’extra gettito regionale
L’idea del ministro rivoluziona l’ipotesi discussa da Lega-M5S che si basava sui risparmi degli enti virtuosi
Durante l’incontro di ieri a Palazzo Balbi il tema dei quattrini non è stato approfondito. Nessuna sorpresa: il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia è arrivato in laguna senza tecnici al seguito, l’incontro era politico e ci sarà tempo e modo per approfondire i diversi aspetti della bozza d’intesa, su tutti quello finanziario, dopo che sarà stata chiusa la partita dei Livelli essenziali delle prestazioni (i Lep).
C’è stato però un momento in cui i componenti della delegazione trattante del Veneto hanno alzato un sopracciglio, piuttosto interdetti, ed è stato quando Boccia ha tratteggiato i contorni del fondo perequativo che nelle intenzioni del governo dovrebbe intervenire per ripianare le disuguaglianze tra le diverse Regioni. Fino ad oggi, infatti, per lo più su spinta del M5S, nelle triangolazioni tra Palazzo Chigi, il ministero degli Affari regionali e quello dell’Economia era stata ipotizzata la creazione di un fondo da alimentare con l’extra gettito fiscale e i risparmi delle Regioni neo-autonome (l’intesa era stata raggiunta sull’extra gettito mentre il no delle Regioni è sempre stato netto sui risparmi, traduzione tangibile della «virtuosità»). Boccia, invece, avrebbe in mente una sorta di «perequazione strutturale» da realizzarsi attraverso un fondo non alimentato dalle Regioni bensì dallo Stato con risorse proprie, cui eventualmente si sommerebbero quelle derivanti dall’extra gettito delle Regioni neo-autonome. Un’operazione di finanza pubblica complessa che verrebbe affiancata, così è sembrato di capire a chi era presente all’incontro, alla Cassa del Mezzogiorno, di cui pure si parla ma che avrebbe il limite di intervenire solo sugli investimenti (il fondo di perequazione, invece, agirebbe «a tutto campo»). È forse questo un altro tassello del «Piano per il Sud» allo studio di Palazzo Chigi?
Nell’attesa di capirne di più, nella bozza consegnata ieri a Boccia la norma finanziaria resta quella di sempre e prevede «l’assegnazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia trasferite dallo Stato alla Regione», con un percorso in due step. Il primo basato sulla spesa storica (tot spendeva in Veneto lo Stato per gestire quella funzione, tot riceverà la Regione). Il secondo basato su costi e fabbisogni standard (tot si dovrebbe spendere in una gestione virtuosa, tot riceverà la Regione). Ricompare, con una certa sorpresa, anche lo step intermedio, stralciato ad un certo punto della trattativa, del «valore medio nazionale procapite» che premierebbe largamente il Veneto, dal momento che come testimoniano i report della Cgia, la spesa media pro capite per funzione nella nostra regione è spesso più bassa della media nazionale (per la sanità il criterio intermedio sarebbe la quota capitaria). Fissato il quantum, le risorse verrebbero recuperate dalla compartecipazione al gettito Irpef maturato nel territorio. L’eventuale extra gettito, nei limiti di quanto previsto dalle aliquote di compartecipazione, resterebbe al Veneto. Tradotto: al Veneto vengono devolute 23 materie; quelle 23 materie costano 100; il gettito Irpef del Veneto è 1.000; al Veneto sarà assegnato il 10% del gettito, pari appunto a 100. Ma che succede se il gettito sale a 1.500? Il Veneto incamererà 150, con un vantaggio di 50 (lo Stato pure ne beneficerebbe, passando da un gettito di 900 ad un gettito di 1.350). E se il gettito scende a 800? Al Veneto andrà 80 e toccherà alla Regione recuperare i 20 mancanti, tagliando i servizi o se necessario mettendo nuove tasse.