Gatti e l’ispezione risolutiva «Manager responsabili e il Cda non controllava»
Il funzionario Bce ricostruisce (per 7 ore) i casi di cattiva gestione
Capitale finanziato con le «baciate» in vista degli aumenti di capitale 2013 e 2014 per 1,3 miliardi di euro, lettere di impegno della banca al riacquisto delle azioni per 520 milioni di euro. Ancora, investimenti in fondi lussemburghesi (che avevano acquistato a loro volta titoli della banca) usati anche per fare gli interessi personali di alcuni manager. E un consiglio di amministrazione «con una gravissima responsabilità dal punto di vista gestionale» per non avere vigilato, mentre il collegio sindacale «si è rilevato inadeguato, non all’altezza».
È il 2015 quando l’ispezione della Banca Centrale Europea alla Banca Popolare di Vicenza scoperchia il vaso di Pandora e fa emerge ogni falla della mala gestio dello storico istituto di credito. Falle di cui era stato informato in tempo reale il presidente Gianni Zonin, che allora mise alla porta il direttore generale Samuele Sorato. «È un asino», sbottò Zonin con gli ispettori a Milano. Sorato, invece, sosteneva di avere sempre aggiornato il presidente.
Pensare che doveva essere un’ispezione generica (tra l’altro annunciata) sul rischio di mercato, ma gli accertamenti riservarono una serie di inquietanti sorprese. Su più fronti. E non solo per il fatto che Bpvi, in violazione al regolamento sul capitale, aveva acquistato azioni proprie, ma anche, come era già emerso da articoli di stampa, per l’esistenza di operazioni finanziate - la famigerate «baciate» - sugli ultimi due aumenti di capitale. Ma ben altro venne a galla nei sei mesi di controlli della Bce, da febbraio a luglio 2015. Tutto dettagliatamente ricostruito ieri in aula a Vicenza, in un interrogatorio fiume durato oltre 7 ore, da Emanuele Gatti, componente del team ispettivo Bce, testimone a cui è stata dedicata un’intera udienza del processo per il crac di Bpvi. Durante una pausa del dibattimento, Gatti e l’ex presidente Gianni Zonin si sono salutati e parlati.
A sentire il funzionario inviato a Vicenza da Francoforte, «l’atteggiamento di Bce è stato duro nei confronti di Bpvi, che aveva mentito sul reale patrimonio e che non era stata trasparente con l’organo di vigilanza sulle proprie cifre». Il riferimento è al capitale finanziato, alle operazioni «baciate» per 505 milioni di euro. E alla «più dirompente notizia delle lettere di garanzia (cioè lettere di riacquisto delle azioni che la banca rilasciava ai soci) che, una volta scoperte, cambiarono il quadro dell’ispezione, anche perché erano firmate (anche dal responsabile della divisione mercati Emanuele Giustini) ed emergevano quindi responsabilità individuali». Sono le parole del dirigente del servizio vigilanza di Banca d’Italia, che ha riferito come il primo a parlargli dell’esistenza di queste lettere (62 quelle venute fuori nel tempo) sia stato Massimo Bozeglav, ex responsabile internal audit della Popolare. Gatti evidenzia poi come non fosse stato detto nulla al Cda sulle azioni finanziate, «che erano il tema più scabroso e significativo per l’impatto quantitativo».
La Bce non si era dimostrata affatto morbida, arrivando a chiedere la messa in risoluzione della banca. Di qui era scaturito un duro scontro. La proposta dell’organo di vigilanza arrivava dopo l’esercizio di valutazione degli attivi bancari al 31 dicembre 2013, in base al deficit di capitale emerso, poi ripianato con l’aumento di capitale 2014 e con la conversione del prestito obbligazionario emesso nel 2013. Il rischio risoluzione venne evitato ma Bce staccò la richiesta di presentazione di un piano di ricapitalizzazione, «per colmare il
Le lettere d’impegno «Il riacquisto delle azioni era firmato, c’erano responsabilità personali»
I fondi Optimum «Zonin, messo al corrente, si dimostrò colpito e molto contrariato»