Tra giovani puri che chiedono risposte adulte
Qualcuno cita addirittura Voltaire «Gli uomini discutono, la natura agisce». Qualcuno propone slogan filologicamente «gretiani», tipo «La nostra casa brucia». Qualcuno si spinge con un «I want a hot girlfriend, not a hot world», giocando sulla temperatura dei suoi amori. I cartelli sono tanti, colorati, fantasiosi. E così i cori, mentre il corteo si agita chiassoso per Venezia.
Vecchie canzoni da centro sociale, buone per ogni rivoluzione, si scontrano con capannelli di Sfera Ebbasta e un improvviso «Baby baby» di Corona, certamente poco engagé ma che a me completa l’effetto nostalgia che provo per la loro giovinezza. Sono molto vari, tra di loro; c’è quello in giacca insieme con quello con la maglietta di Che Guevara, come a dire che è una lotta di tutti. Buon segno. Sono giovani, molto giovani. Come tutti i giovani, sono puri e fragili, e belli. Ma non solo sono questo, non chiedono sorrisi e compassione, non sono risibili. Combattono con foga e contraddizioni una battaglia giusta, sacrosanta. Aprire gli occhi sullo sviluppo sostenibile, sull’entità dell’inquinamento, sul surriscaldamento globale, sul sovrappopolamento, sui modelli produttivi. «Ci avete rotto i polmoni», dice uno slogan che avevo già sentito in passato. Sono preoccupati; rischiano di essere un’altra generazione che sta peggio dei genitori, hanno l’incubo di una catastrofe improvvisa da clima impazzito. Il futuro è più loro che nostro e chiedono, giustamente, continuamente, che cosa stiamo facendo per loro. Anche il peggior cinismo dovrebbe essere scosso da una ragazzina svedese che un anno fa manifestava da sola e oggi muove piazze dovunque. Greta dà fastidio: rovescia il presupposto per cui niente è possibile, scardina l’oceano di vuoto del nostro vecchio mondo occidentale, le vite incattivite di tanti adulti senza sogni. E, soprattutto, al di là di simpatie e antipatie, scivoloni fastidiosi («avete rovinato la mia infanzia» davanti alla platea ONU), è giusto andare alla radice: il messaggio di Greta è
giusto. Da sola, ha lanciato un’Opa su tutte le manifestazioni studentesche del mondo, sulle priorità di tanti dei nostri ragazzi. E i ragazzi questo devono fare: i ragazzi. E qui, alla stazione di Venezia Santa Lucia, fanno questo. Si guardano, si parlano, si confrontano, ridono, parlano di migranti, del governo, magari provano anche a rimorchiare ma provano soprattutto a credere in qualcosa, visto che gli adulti non gli han trasmesso poi molto in cui credere, essendo crollate (per fortuna) le ideologie, ma essendo precipitato anche molto del senso politico, spirituale e comunitario della vita. Cosa c’è di più nobile che concentrarsi sul futuro? I ragazzi fanno i ragazzi. Sono gli adulti che devono fare gli adulti. Che non possono rispondere alle sfide del mondo «alla Greta». Che devono approfittare di questo grido anche naif per scuotersi dalla sonnolenza data dal benessere, che devono approvare provvedimenti puntuali (tasse, agevolazioni, divieti). Ma devono fare gli adulti soprattutto con i giovani. Prima di tutto, cercando dialettica e non complicità (fermo ogni diritto di sciopero, è assurdo pregiustificare la partecipazione a una manifestazione studentesca durante il sacrosanto orario di scuola). E poi devono ribadire senza tentennamenti che per cambiare il mondo è prioritaria la formazione, la competenza, la precisione, perché a domande complesse non corrispondono mai risposte semplici, come si pensa spesso erroneamente quando si è giovani. Gli adulti
devono accogliere l’entusiasmo ma evitando che diventi fanatismo, specie in tempi in cui un certo ambientalismo di maniera è ghiotto di fake news. Devono ricordare che il nostro benessere, le nostre indubbie libertà sono nate non sempre da un rapporto francescano con la natura, ma anche talvolta da uno leopardiano, conflittuale, e il nostro sviluppo è passato per una lotta aspra con il mondo, coltivare campi impervi, curare malattie incurabili, sottrarre terre al mare, bonificare zone palustri, uccidere insetti, trovare da mangiare per sopravvivere. L’equilibrio si può trovare solo così. L’equilibrio ma anche il progresso, perché l’equivoco di fondo è che non ci si può fermare, non si può tornare indietro; si trovi un nuovo modo di progredire, ma sempre di progresso bisogna parlare, specie perché c’è una parte del mondo che non siamo noi e che ha diritto a svilupparsi (e a dire il vero lo sta facendo, e a dire il vero è quella che crea più problemi di sostenibilità). Soprattutto, gli adulti devono fare gli adulti e spiegare che il destino del mondo non è una lotta tra governanti e cittadini, tra «voi cattivi» e «noi buoni», e che ciascuno deve fare la sua parte, evitando ogni assurda assolutoria semplificazione che spesso impedisce le vere rivoluzioni e che è il grande male della giovinezza ma, a ben pensarci, è in realtà il grande male della nostra generazione di adulti infantili, sempre pronti a dare la colpa a qualcun altro.