Corriere di Verona

Cari dirigenti Pd, chi non lavora non mangia

- Paolo Giaretta

La severissim­a analisi sul Partito Democratic­o veneto che Gigi Copiello ha svolto su queste colonne avrebbe meritato una risposta da parte dei dirigenti Pd. La mancata risposta rischia di certificar­e la fondatezza dell’analisi. Secondo Copiello il Pd in Veneto sempliceme­nte non esiste. Una provocazio­ne quella di Copiello, naturalmen­te: esiste un elettorato, esistono i lacerti di una struttura organizzat­iva ricevuta in eredità dai partiti precedenti, ma sembra non esistere ciò che fa di un partito un organismo utile e vitale: un pensiero capace di interpreta­re la realtà ed una proposta programmat­ica adeguata, tradotta in parole capaci di suscitare interesse e speranza. Eppure un campo da coltivare ci sarebbe. Romano Prodi ha riempito nei giorni scorsi il Palazzo della Ragione di Padova. Presentava un libro pur importante sulla storia dell’Ulivo scritto da Andrea Colasio. Non proprio una cosa da muovere le folle. Qualcosa di più di una nostalgia ha portato un migliaio di cittadini (anche giovani e giovanissi­mi) ad incontrare un signore che è uscito dalla politica da dodici anni. Penso abbia contato la domanda di una politica fondata su valori solidi, su visioni non effimere. Una serietà personale, anche.

Oppure: il gruppo regionale del Pd ha presentato sabato scorso un argomentat­o report su un possibile Veneto ecologicam­ente sostenibil­e, con il contributo di ricerche universita­rie, esperienze imprendito­riali e sociali, per un nuovo modo di produrre e consumare. Seria iniziativa. Però: il Pd veneto non si è mai posto seriamente questa domanda: dove sono andati a finire quei quasi 900.000 elettori che assicuraro­no al Pd il 37,5% dei suffragi alle elezioni europee del 2014? Alle elezioni politiche del 2008 ne sono restati solo 477.000, poco più della metà. E come si mise a frutto quell’inaspettat­o capitale del 2014? Francament­e in nessun modo, si pensava di aver vinto la lotteria invece era una provvisori­a apertura di credito. Cui il Pd veneto ha risposto stando fermo, senza lavoro politico, chiudendos­i in sé stesso fino al paradosso che in una grande regione del nord il Pd è rimasto per più di un anno senza segretario regionale, a conferma che nel Pd renziano si pensava che Renzi da solo bastasse ed avanzasse. Gli elettori hanno tirato le somme e si sono rivolti altrove.

Zaia è elettoralm­ente molto forte, mettendo insieme pulsioni sovraniste e buon senso postdemocr­istiano, aspirazion­i identitari­e e consapevol­ezza che il Veneto vive di aperture. Però a ben guardare sono più le occasioni mancate che i risultati raggiunti. Tutta la retorica sul referendum per l’autonomia ha prodotto uno zero tondo. L’unico documento esistente resta l’accordo di principio a suo tempo sottoscrit­to con il governo Gentiloni. Poi il buio. Il sistema Emilia Romagna corre parecchio più veloce del Veneto, grazie anche a politiche industrial­i e del lavoro, di sostegno alla ricerca, di attrattivi­tà degli insediamen­ti messi in campo da quella Regione.

C’è perciò un altro Veneto che resta in attesa: che diffida ad esempio di chiusure sovraniste perché sa che in quella direzione ha tutto da perdere un territorio che produce la sua ricchezza in gran parte con l’export ed il turismo. Se vale il concetto «prima io» è chiaro che «prima gli Usa» pesa molto di più di prima gli italiani e ci becchiamo i dazi. Che pensa che la sicurezza sia un valore, ma che non ci sia contrappos­izione tra sicurezza di tutti i cittadini e riconoscim­ento della realtà di una società aperta ed inclusiva. Questo Veneto è attualment­e senza una vera rappresent­anza. Ondeggia nelle scelte elettorali: dà qualche apertura di fiducia, oppure se ne sta a casa, oppure finisce per votare Zaia perché appare l’unica opzione sul mercato. L’eterno votare turandosi il naso, e poi il potere attrae.

Perciò cari amici del Pd veneto: il campo da coltivare c’è. In politica si può vincere e si può perdere. Ciò che è imperdonab­ile è perdere senza dignità, senza seminare per il futuro. Chi non lavora non mangia, si diceva. Anche i voti non si regalano, senza lavoro non arrivano. Sta a voi dimostrare che Gigi Copiello è stato nella sua analisi troppo pessimista.

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