Corriere di Verona

Nancy Brilli, una single stanca degli uomini

Da questa sera a venerdì, l’attrice è protagonis­ta della commedia brillante scritta da Jaja Fiastri con la regia di Lina Wertmüller. «Risate e colpi di scena»

- Peluso

Una donna in carriera stanca degli uomini, single, ma con il rimpianto di non aver mai avuto un figlio, ruba una provetta da un istituto di ricerche genetiche e riesce così a coronare il suo sogno. Ma il padre chi è? Sembra scritta oggi, invece è del 1988 la pièce «A che servono gli uomini?», scritta da Jaja Fiastri su musiche di Giorgio Gaber, con la regia di Lina Wertmüller. Nel ruolo della protagonis­ta (che fu, trent’anni fa, di Ombretta Colli) oggi c’è Nancy Brilli, che da questa sera a venerdì, sempre alle ore 21, sarà al Teatro Nuovo di Verona. Accanto a lei, sul palco, Fioretta Mari, Daniele Antonini, Nicola D’Ortona e Giulia Gallone.

Nancy Brilli, com’è lavorare con una regista da Oscar?

«Lina Wertmüller è stata la prima donna a esser candidata agli Oscar come miglior regista. Era il 1977 e, se in quel caso non lo vinse, ora invece, può stringerlo tra le mani (lo scorso ottobre ha vinto il Premio Oscar onorario, ndr). Ovviamente noi l’avevamo contattata molto prima della statuetta d’oro e lei si era subito mostrata contentiss­ima di lavorare a questo progetto».

E ritrovarsi con i testi di Jaja Fiastri?

«È stata la mia madrina artistica: nell’85, su scommessa con un amico, partecipai a un provino per lo spettacolo “Se il tempo fosse un gambero” al Sistina. Fu lei a scegliermi, insieme a Bernardino Zapponi, Pietro Garinei e Franco Miseria.

Persi la scommessa col mio amico e iniziai la mia carriera».

Ha conosciuto anche Gaber?

«Sì. Prima di ammalarsi mi aveva anche proposto di fare insieme “Il caso di Alessandro e Maria”. Giorgio ci ha lasciato in eredità le musiche, ma sono meno rispetto alla versione originale, non è più un musical, ma una commedia in musica: alcune canzoni portano avanti il discorso, altre danno suggestion­i musicali e poi ci

sono momenti coreografa­ti». Quindi la pièce è diversa da quella dell’88?

«Il plot è identico, con un colpo di scena finale che dobbiamo totalmente a Lina. Per il resto, la commedia è stata riadattata dalla stessa regista, da Valerio Ruiz (assistente alla regia) e da me. Nel copione originale si parla di Sip e non c’era internet: il mondo è cambiato da allora e abbiamo pareggiato le date, inserendo espedienti come i social network». Gli uomini sono cambiati?

«In alcune cose sono migliorati: quando ero piccola i papà non erano così presenti in famiglia. Adesso vedo che i papà seguono molto i loro figli. E poi ci sono uomini che sono padri pur non essendolo, amici del cuore, confidenti... A esser cambiato davvero è il concetto di famiglia che va molto al di là della famiglia allargata: perché possono esserci due madri, due padri, un genitore solo, può esserci una zia che in realtà è un’amica e così via. La famiglia è dove si condivide l’affetto». Lei assomiglia al suo personaggi­o?

«Le assomiglio perché non ho bisogno di un uomo che “mi sistemi”. Le donne oggi si sistemano da sole. Non le assomiglio perché non odio gli uomini a priori come fa Teodolinda: non mi piacciono le persone poco sincere, insensibil­i e incapaci di sentimenti profondi, ma questo prescinde dal genere».

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