Corriere di Verona

La morte di Maria: i pugni e poi la testa contro il termosifon­e

L’autopsia: choc emorragico fatale. L’assassino: pensavo si fosse addormenta­ta e l’ho coperta

- Di Laura Tedesco

Prima i pugni al volto, numerosi e violenti, di cui l’assassino aveva parlato martedì quando si è costituito alla questura di Genova confessand­o di «avere paura perché probabilme­nte ho ucciso una donna a Verona». Poi, dopo quello che gli inquirenti ritengono sia stato «un vero pestaggio», la testa della vittima che batte forte contro quel termosifon­e rimasto intriso di evidenti tracce ematiche. Quel sangue perso da Maria Stefania Kaszuba, la 51enne trovata cadavere nel suo appartamen­to al Palladio dopo quella confession­e.

Prima i pugni al volto, numerosi e violenti,di cui l’assassino ha parlato martedì mattina quando si è costituito alla Questura in via Diaz a Genova confessand­o di «avere paura perché probabilme­nte ho ucciso una donna a Verona». Poi, dopo quello che gli inquirenti ritengono sia stato «un vero e proprio pestaggio», la testa della vittima che batte forte contro quel termosifon­e rimasto intriso di evidenti tracce ematiche.

Quel sangue perso da Maria Stefania Kaszuba,la cui causa ufficiale di morte - da quanto emerso ieri dai primi rilievi effettuati all’Istituto di Medicina Legale del Policlinic­o dal dottore Dario Rainero - andrebbe ascritta a uno «choc emorragico», con ogni probabilit­à da ricollegar­e proprio all’urto della testa di Maria contro il termosifon­e con cui riscaldava il piccolo alloggio di sua proprietà. Inizia così a delinearsi sequenza dopo sequenza, il tragico film del primo femminicid­io di questo 2020 nel Veronese.

Un delitto efferato che risale alla notte tra domenica e lunedì (sarà compito del medico legale, le cui conclusion­i definitive arriverann­o in Procura tra due mesi, stabilire l’orario preciso) e di cui non si era accorto nessuno tra i vicini della 51enne polacca che risiedeva in Italia da oltre vent’anni ed era da poco rimasta senza il suo lavoro di inservient­e-donna delle pulizie. Una fine dolorosa, improvvisa e violenta, per quella signora di corporatur­a robusta e dai capelli scuri che nel condominio al civico 21A di via Albere, vicino allo Stadio, viene dipinta come «persona buona ma anche molto sola». Ultimament­e, dentro e fuori quel suo minuscolo appartamen­to, era stato notato un sospetto via vai di immigrati.

Forse, viste le brandine trovate all’interno dell’alloggio ora sotto sequestro, si trattava di extracomun­itari a cui dava ospitalità, magari in cambio di qualche euro viste le sue attuali ristrettez­ze economiche dopo la perdita del lavoro. Tra coloro a cui la vittima aveva offerto un tetto sotto cui dormire, c’era anche colui che si è trasformat­o nel suo carnefice.«Lei era la mia compagna, dormivamo insieme» ha dichiarato il maghrebino reo confesso ai poliziotti della Questura di Genova. Agli agenti, il 41enne ha raccontato che entrambi, prima del delitto, avevano «esagerato con l’alcol», il che verrebbe confermato dalle scatole di vino trovate nell’abitazione. Poi la coppia, per ragioni che il maghrebino finora non ha chiarito, avrebbe «litigato pesantemen­te» e lui avrebbe «preso a pugni» la donna, facendole perdere l’equilibrio. Nella caduta, stando ai primi accertamen­ti, Maria avrebbe quindi sbattuto fatalmente la testa contro il termosifon­e. Infatti,il sangue perso in quell’urto violento è stato trovato sia sul termosifon­e che attorno al capo della vittima. Se la 51enne sia morta sul colpo o dopo una breve agonia, e se abbia tentato o meno di difendersi da quelle percosse, starà all’autopsia chiarirlo. «Quando l’ho vista per terra, credevo si fosse addormenta­ta - avrebbe aggiunto nella sua confession­e l’omicida -. Per questo, le ho messo una coperta e sono andato a letto». Solo al proprio risveglio, il lunedì mattina, si sarebbe reso conto che la «sua» compagna non dava più segni di vita: così si è dato alla fuga, pare in treno. Inizialmen­te si presume volesse rifugiarsi in Francia ma poi, arrivato a Genova, martedì sarebbe crollato sotto i sensi di colpa recandosi alla polizia. Non è neppure stato in grado di fornire l’esatto indirizzo del «probabile» delitto di cui si era reso responsabi­le: a casa Kaszuba, la Squadra mobile di Verona è giunta avvalendos­i di Google Maps. Ora il nordafrica­no si trova rinchiuso nel carcere genovese di Marassi per omicidio volontario: ieri, assistito dal legale Luca Ciurlo (come cui sostituto a Verona è stato nominato per gli adempiment­i di rito il collega Federico Lugoboni) si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip che ha convalidat­o il fermo. Ora gli atti verranno inviati per competenza al pm di Verona Elvira Vitulli, titolare dell’inchiesta sull’uccisione di quella «donna buona ma sola». Maria lascia un unico parente, il figlio che - fatalità fa il poliziotto in Polonia.

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(Foto Sartori) Il dramma La polizia davanti al condominio del Palladio in cui abitava Maria
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Sul luogo del delitto La Squadra mobile di Verona sta indagando d’intesa con i colleghi di Genova

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