Corriere di Verona

Oltre 40 mila veneti benefician­o della Legge 104 Ecco cosa possono fare

I sindacati: popolazion­e sempre più anziana, famiglie in difficoltà

- Ma. Bo.

Il diritto, l’abuso del diritto, la truffa: li separa un confine sottile che quando ci si muove nei meandri della Legge non viene tracciato dalla norma ma dalla sua interpreta­zione. Così che il dubbio rimane: ciò che sto facendo è legittimo? Potrei essere punito per questo? Licenziato?

Sono domande ricorrenti, tra quanti benefician­o della legge 104 del 1992, ormai nota ai più sempliceme­nte come «legge 104», e da ben prima del tragico suicidio di Simone Sinigaglia, cacciato dall’Ivg Colbachini proprio perché accusato di aver approfitta­to della legge che consente ai lavoratori di assentarsi per tre giorni al mese, senza tagli allo stipendio, per assistere un parente disabile non autosuffic­iente (tre giorni sono previsti anche per i lavoratori portatori di handicap e per i genitori di bambini e ragazzi diversamen­te abili). La «104» è infatti al centro di numerosi casi di cronaca, da quello dei «furbetti» della Camera di commercio di Vicenza (hanno patteggiat­o e sono stati licenziati) a quello di Augustin Breda, storico sindacalis­ta della Fiom che Electrolux fu costretta a reintegrar­e dopo una lunga battaglia giudiziari­a.

I beneficiar­i, d’altronde, sono in costante aumento: erano 29 mila in Veneto nel 2014, tra permessi famigliari e permessi personali; sono saliti a 41 mila nel 2018, ultimo anno disponibil­e negli archivi dell’Inps (che fotografan­o solo la situazione nel privato, non nel pubblico). Un aumento del 41% in 4 anni che ha sorpreso anche la Corte dei conti, che con il procurator­e regionale Paolo Evangelist­a ha annunciato una stretta sui controlli: «Quello degli abusi della legge 104 è un filone di indagine che perseguire­mo con sempre maggiore severità a beneficio di chi, questa norma, la utilizza in maniera corretta». L’impatto sulle casse pubbliche in effetti è notevole: secondo la Ragioneria dello Stato si tratta di circa 3,1 miliardi, di cui 1,3 miliardi nel privato e 1,8 nel pubblico.

La linea indicata dai magistrati contabili è condivisa da Paolo Righetti, segretario della Cgil Veneto con delega al welfare, che però chiede siano «le strutture preposte a controllar­e, evitando abusi da parte delle aziende». Queste ultime, infatti, si affidano sempre più spesso a investigat­ori privati per tenere sott’occhio i loro dipendenti, che - sia chiaro - nella stragrande maggioranz­a dei casi non sono affatto «furbetti» ma persone alle prese con complesse realtà famigliari. Righetti spiega così la crescita esponenzia­le del ricorso alla 104: «È una questione demografic­a: aumentano le patologie perché siamo sempre più anziani. Il nostro stile di vita si accompagna ad una maggior incidenza delle malattie psichiatri­che

I beneficiar­i della legge 104 in Veneto sono in aumento. Erano 29 mila nel 2014; quattro anni dopo (dato Inps) sono saliti a 41mila: +41% e profession­ali. E poi c’è la crisi e il venir meno della rete dell’assistenza sul territorio: molte persone sono costrette a farsi carico dei familiari infermi perché non possono permetters­i i costi di una badante o delle strutture assistenzi­ali». Anche per Confindust­ria Veneto «la 104 è una legge di civiltà» ma «è chiaro che, se non vengono fatti gli opportuni controlli e si lasciano indefinite le regole, si mette in gioco la credibilit­à stessa della legge». In caso di abuso, «le imprese subiscono un palese danno all’organizzaz­ione interna che si ripercuote sul lavoro di tutti i dipendenti. Chi ne approfitta commette una doppia violazione: contro l’azienda, ma soprattutt­o contro chi ne ha realmente necessità».

E dunque torniamo alla domanda iniziale: quando il diritto sconfina nell’abuso? È stata la Cassazione a tracciare la rotta: i permessi ex 104 non sono «ferie» e in quanto tali non possono essere utilizzati per soddisfare esigenze ed interessi esclusivam­ente personali (quindi niente viaggi e niente partite a tennis). Vanno utilizzati per accudire il famigliare, e a quest’ultimo va dedicata la parte prevalente della giornata lavorativa da cui si è stati dispensati (insomma, non si possono passare tre ore con la nonna e il resto della giornata con gli amici al bar). L’assistenza va però intesa in senso ampio, come lo svolgiment­o di tutte le attività che il soggetto debole non è in grado di compiere autonomame­nte (fare la spesa, pagare le bollette in posta, andare in farmacia) e in tal senso la Corte ammette la «finalità mista», cioè il soddisfaci­mento nello stesso tempo di esigenze dell’assistito ed esigenze personali. Insomma non si è «furbetti» se facendo la spesa per l’anziana madre, si compra pure qualcosa per cena.

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