«Non temiamo il Coronavirus, ma il rischio psicosi»
I timori dei ristoratori: il ricordo dell’allarme Sars è ancora vivo
«Non temiamo il virus, ma la possibile psicosi». Isu è italiano, parla con un leggero accento romano. E nella «città eterna» è nato, ha frequentato la scuola, prima di diventare imprenditore a Verona nello stesso settore dei genitori: la ristorazione. E ora che è alla guida dell’Ichiban, frequentatissimo ristorante «all you can eat» giapponese (ma gestito da cittadini cinesi, cosa non rara in Italia), a due passi da piazza Cittadella, si ricorda di quanto è accaduto nel 2003, in pieno allarme Sars. «Allora ci fu una flessione della clientela nei ristoranti cinesi — spiega — anche se non potevano esserci contatti tra il cibo che arrivava e il virus, eppure le ripercussioni ci sono state. Ora è troppo presto per dire se andrà allo stesso modo». I cittadini cinesi a Verona non parlano molto volentieri di quanto sta accadendo a Wuhan e dintorni. Non perché si sentano chiamati in causa, ma semplicemente perché, vivendo e lavorando in Italia, ne sanno poco: «Leggiamo qualcosa su internet, nulla di più» è la risposta che ricorre di più.
La comunità a Verona è una delle più numerose: con 1.800 residenti è la quinta tra gli stranieri, dietro a romeni, srilankesi, moldavi e nigeriani. La stragrande maggioranza di loro viene da Shanghai e dall’amplissima area metropolitana che circonda la megalopoli del Sud Est della Cina. La distanza è di quasi mille chilometri, «dieci ore di macchina», è la spiegazione più diretta. Insomma, abbastanza per non considerarla una «questione di casa propria». «Quando ho sentito parlare del nuovo virus e della quarantena, sono andato a informarmi. Non avevo mai sentito parlare di quella città». Ossia di Wuhan, centro a dire il vero piuttosto importante (otto milioni di abitanti e polo industriale fondamentale per il Paese) dove è stato scoperto per la prima volta il nuovo coronavirus. A parlarne è Andrea che, assieme alla moglie Gaia (i nomi sono all’occidentale, secondo un abitudine comune a molti cittadini cinesi) gestisce il bar «dai Fradei» a San Michele Extra. Andrea, da 30 anni in Italia, collabora grazie a un centro culturale con diverse scuole nell’insegnamento della lingua cinese. «Ammetto di non aver l’idea precisa di dove si trovi Wuhan — spiega — ho dovuto chiedere a mia sorella che ha studiato a lungo in Cina. Ma in questi giorno ho avuto occasione di parlare con diverse persone che lavorano in bar e in ristoranti e nessuno è preoccupato. Però ci ha meravigliato la reazione del governo cinese: di solito si tende a placare le voci allarmistiche, invece si stanno prendendo delle misure eccezionali e questo è segno che la questione è presa sul serio». Molti «sino-veronesi» fanno notare che la questione può apparire particolarmente seria «perché, proprio in queste ore, è in corso il Capodanno cinese». «È un’occasione in cui si muovono moltissime persone — dice Ting Ting, che lavora al bar Muretto di via Scalzi — e questo potrebbe favorire la circolazione della malattia. Ma i miei familiari in Cina sono tranquilli, anche se è stato loro consigliato di mettersi la mascherina». Per questo motivo anche i titolari del bar Paola in via della Valverde, marito e moglie, che hanno pianificato un viaggio un Cina per un matrimonio, stanno valutando se partire o meno. Anche i medici veronesi sono molto cauti. «Non c’è ragione per temere un’emergenza — afferma Evelina Tacconelli, docente di Malattie infettive all’Università — vanno controllati gli arrivi in aereo, perché il virus non si può diffondere in nessun altro modo. Ma sembra esserci una grande collaborazione a livello internazionale e ci sono ragioni per essere ottimisti».