I successi del manager dall’Arsenale alle sale fino a Forte Marghera
A contarli tutti, gli anni delle presidenze Baratta, non basterebbero comunque due mani. Perché è vero che la corsa dell’ingegnere milanese approdato a Venezia a 59 anni si è arrestata alla vigilia di un ipotetico quarto mandato consecutivo. Ma è anche vero che l’ex ministro aveva già testato la guida della macchina-Biennale dal 1998 al 2001, elevando così gli anni al comando a 15, distribuiti nell’arco di poco più di un ventennio. Un ventennio che ha cambiato radicalmente il volto dell’istituzione veneziana. La prima volta che si cominciò ad alzare il sopracciglio constatando che qualcosa nella Biennale così fascinosa ma così difficile da far camminare verso il nuovo Millennio poteva mutare, fu nel 1999, quando Paolo Baratta, allora fresco sessantenne, attraversò il ponte della Libertà che collega Venezia a Mestre organizzando la rassegna di Teatro «La pista e la scena» in un tendone da circo al parco della Bissuola. Circensi, teatranti, burattinai, ma anche un giovanissimo Filippo Timi diretto da Giorgio Barberio Corsetti e perfino i due fratelli Forman, figli del premio Oscar Milos, si riversarono in quell’angolo di mondo circondato da blocchi di cemento. Il concetto di «recuperare spazi», di aprire nuove finestre, di guardare il mondo attraverso nuove poltroncine ignifughe, è stata sempre la filosofia che ha guidato Baratta, insieme, certo, al desiderio di tenere i conti in ordine. Non a caso, la prima Biennale d’Arte sotto la sua presidenza fu «dAPERTuttO», l’esposizione d’arte curata da Harald Szeemann che abolì le sezioni e istituì il concetto di mostra internazionale, che ancora oggi guida la ratio delle mostre della Biennale. E per essere «dappertutto» serviva spazio: furono così aperti gli spazi dell’Arsenale. Le Artiglierie, l’Isolotto, le Tese, le Gaggiandre, aggiungendo ogni anno un tassello (e un Paese) in più alla geografia della Biennale. Le esposizioni - sia Arte che Architettura - sono passate dagli iniziali quattro o cinque agli attuali sei e i numeri sono lievitati: l’ultima Biennale è stata visitata da 600 mila persone; nel 2001 furono 243 mila: più o meno come la Biennale del 1895.
E poi venne il Cinema. E l’occhio del presidente quasi lacrimò nell’annus horribilis della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia: il «buco» lasciato dal nuovo palazzo del Cinema, col cantiere bloccato perché pieno d’amianto, aveva deturpato lo skyline del Lido; i giornalisti avevano dovuto abbandonare in fretta e furia la sala stampa, al Casinò, perché pioveva inesorabilmente sui loro computer e le file per entrare in sala erano lo specchio che rifletteva più di un problema. Fu da quell’anno che partì la riscossa: Baratta trovò i fondi per restaurare la Sala Grande; poi fu la volta del Palagalileo, nata come arena coperta e trasformata dai lavori di restauro in Sala Darsena. Poi le ruspe arrivarono e finalmente nel 2016 coprirono il «buco» con piante, fontane e un «Cubo rosso» da 416 posti, lievitati a 580 nell’ultima edizione. E poi la «riapertura», seppure solo della hall e in un’operazione molto nostalgia, del Grand hotel Des Bains: chiuso dal 2010, il palazzo caro a Visconti è stato riaperto per ospitare due mostre di fotografie curate da Barbera nel 2018 e nel 2019, ma unicamente nel periodo della Mostra. E ancora, sul versante Mestre, non si può tacere l’«apertura» dell’Esposizione d’Arte a Forte Marghera (fortemente voluta dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro) e il ritorno, lì dove la rivoluzione era cominciata, lo scorso settembre, al Parco della Bissuola, per inaugurare il Cimm, il Centro informatico musicale multimediale, a disposizione dei giovani. Così come ai giovani è dedicato il College, l’articolazione nei diversi settori di un’offerta formativa per giovani registi, produttori, ballerini, coreografi, musicisti. Non avrebbe mai potuto fare tutto questo senza l’appoggio delle istituzioni che oggi lo rimpiangono: il Comune di Venezia e la Regione, in primis. La ricerca degli sponsor, non facile in anni di crisi nera. E uno standing internazionale che trova una raffigurazione plastica nella statuetta degli Oscar. Perché mai come negli ultimi sei sette anni Venezia è stata l’anticamera del Dolby Theatre di Los Angeles.
Mestre Ha portato il teatro al Parco della Bissuola e l’Arte in terraferma