MACCHINE, UOMINI E FUTURO
Macchina contro uomo? Responsabilità, libertà civili e democrazia nella società digitale» è il tema al centro di una riflessione corale promossa venerdì scorso al Museo Diocesano di Padova dall’Associazione Padova Legge presieduta da Fabio Pinelli. Ospiti: Luciano Violante, nelle vesti di Presidente della Fondazione Leonardo, Maria Grazia Carrozza scienziata che si occupa di neuro-robotica al Sant’Anna di Pisa e Luca Zaia, governatore del Veneto. Il quadro delineato dai relatori ha riecheggiato elementi noti e sempre inquietanti: l’enorme capacità della rete di catturare milioni di dati, di elaborarli e trasformarli, complice l’intelligenza artificiale, in informazioni in grado di influenzare i comportamenti di ciascuno; la perdita di ruolo di partiti, sindacati, istituzioni culturali sostituiti dalla intermediazione occulta dei padroni del web (Violante); le nuove dipendenze da web altrettanto insidiose di quelle da sostanze (Carrozza); la mancanza di regole che la rete rifiuta (Zaia) e che lascia spazio alla capacità di determinare le scelte di acquisto, di divertimento, di voto e così via. Tutta colpa della tecnologia? In un passato non lontano, senza le tecnologie di oggi e su scala ovviamente ridotta, si sono vissute situazioni simili. Il villaggio globale ha affinità impressionanti con i borghi montani, pedemontani, campagnoli o urbani degli anni Cinquanta. Anche allora c’era chi conosceva tutto di tutti.
La tecnologia era un po’ rudimentale: il passaparola, l’osservazione diretta, il venticello della calunnia. Le scelte di consumo erano condizionate dall’unico negoziante che si approvvigionava già pensando ai gusti e alle capacità di spesa del cliente cui avrebbe proposto il prodotto. Né più né meno di quello che fa oggi, in grande, Amazon. Le decisioni di voto erano indirizzate dalle prediche domenicali o dagli «opinionisti» che frequentavano il bar, il barbiere o la farmacia e che usavano suggestioni più elementari ma ugualmente efficaci di quelle impiegate nella Brexit o nell’elezione di Trump. I film da vedere erano imposti dal cartellone dell’unico cinema in misura più pressante, perché priva di alternative, di quella usata da Netflix. E in quanto alle fake news, correvano copiose creando nelle persone prese di mira drammi non meno violenti di quelli indotti oggi dal cyber-bullismo.
I molti che sono usciti dai «borghi» della storia lo hanno fatto allargando gli orizzonti, usando la scuola, la cultura, i viaggi, la crescita economica, la tecnologia stessa, l’ascolto dei veri maestri e il dialogo con persone vere. Possibile che i loro figli e nipoti ricadano in situazioni ancora peggiori senza nemmeno rendersene conto? Si tratta di non abbandonarsi a visioni apocalittiche evitando un errore ricorrente nella costruzione di scenari digitali basato su una sorta di determinismo tecnologico che immagina il futuro come meccanica estrapolazione del passato.
Si pensa che i robot faranno quello che faceva e fa l’uomo invece di ipotizzare che faranno cose diverse dall’uomo. Si pensa che l’uomo debba competere con i robot per difendere i suoi spazi, invece di ipotizzare che l’uomo potrà finalmente occuparsi d’altro. Si teme che gli algoritmi atrofizzeranno l’intelligenza umana, invece di pensare che la potenzieranno. Ci si concentra sulla tecnologica trascurando l’innovazione comportamentale che la deve governare.
Christopher Freeman, guru tecnologico dello Spru dell’Università del Sussex (Uk), già nel lontano 1986 segnalava il ruolo dell’innovazione sociale e ammoniva di «non sottovalutare la portata effettiva del mutamento istituzionale che si rende necessario» per assorbire e valorizzare l’impatto delle nuove tecnologie. «Questo può comportare» proseguiva con conclusioni molto simili a quelle proposte nel convegno patavino «grandi cambiamenti nei sistemi formativi e educativi, negli stili di direzione e nell’etica del lavoro, nella dinamica delle relazioni industriali, nell’organizzazione del lavoro, nell’evoluzione della domanda finale di beni e servizi, nell’apparato concettuale di economisti, giuristi e politologi, oltre che nell’ordine di priorità vigente sul piano sociale, politico e legislativo». Nessuno può sostenere di non essere stato avvisato in tempo.