«Vi racconto il virus dalla camera d’ospedale»
Padova, il racconto di un contagiato di Vo’
«Iprimi sintomi ho cominciato ad avvertirli sabato 22, il giorno dopo la morte del mio caro amico Adriano Trevisan. La domenica, il termometro superava i 38 gradi e mi sono deciso a chiamare il 118. La sera stessa, in ospedale, sono stato sottoposto al tampone».
Quando ha saputo che il test era positivo?
«Hanno telefonato a casa il lunedì, alle 15.30. La dottoressa mi ha spiegato la situazione e ha detto che sarebbe arrivata a prendermi un’ambulanza: dovevo essere immediatamente ricoverato nel reparto Malattie infettive dell’ospedale di Padova». Come ha reagito?
«Vuole sapere cosa si prova a sentirsi dire: “Mi dispiace, lei è positivo al coronavirus”? Non è facile da spiegare. Mi è caduto il mondo addosso e mi veniva da piangere, come mi viene da piangere adesso, a ripensarci. Perché nella vita puoi aspettarti di tutto, ma non metti in conto che ogni cosa possa finire per un’infezione misteriosa e sconosciuta...».
Romeo Trevisan ha 63 anni, è in pensione da ottobre e fino ad allora ha lavorato in banca, prima come funzionario poi da direttore di filiale. Ha sempre vissuto a Vo’, il paesino della Bassa Padovana nel quale ha avuto origine il focolaio dell’infezione di Covid19 e che, da quasi due settimane, viene tenuto isolato da un cordone di forze dell’ordine.
Dal 24 febbraio, Trevisan è ricoverato agli Infettivi di Padova. Condivide il reparto con un’altra trentina di contagiati. Ora come va?
«Sto meglio, ma per giorni ho avuto la febbre a 39.5, dolori muscolari, tosse e un po’ di mal di testa. Qui siamo in due per stanza. Prima ero in compagnia di un politico del mio paese, che però è guarito e l’hanno dimesso. Ora nel letto accanto c’è un signore di Cinto Euganeo che
si è preso il coronavirus venendo a giocare a carte in un bar di Vo’. Medici e infermieri sono straordinari. Noi malati indossiamo la mascherina ma loro, prima di entrare nella nostra stanza, devono usare protezioni su tutto il corpo e una specie di scafandro che li fa sembrare dei palombari».
Anche lei si è ammalato al bar?
«Sì, come quasi tutti gli infetti di Vo’. Frequentavo la stessa locanda di Adriano, anche se non ci andavo per la briscola ma per guardare le partite di calcio alla televisione».
Ha contagiato altre persone della sua famiglia?
«Per fortuna no: i test su mia moglie, sui nostri due figli e tre nipoti sono tutti risultati negativi».
Come si trascorre il tempo nel reparto di malattie Infettive?
«Abbiamo il divieto di uscire dalla camera. Così non poso far altro che guardare la televisione, mi tengo informato leggendo le notizie sui siti web e faccio delle lunghe video-chiamate con i miei familiari. Poi, naturalmente, ci sono da fare le visite e gli esami. Mi somministrano antibiotici e medicinali a base di cortisone. Diciamo che le ore scorrono lentamente, è dura rimanere “prigioniero” qui dentro, ma almeno ho molto tempo per riflettere sulle cose».
E cosa ha capito?
«Che siamo fragili, che gli esseri umani sono in pericolo e che il nostro nemico sono altri uomini che, per avidità e desiderio di potere, stanno spremendo questo nostro pianeta, togliendo ogni risorsa, inquinando, appestando l’aria... Se non vogliamo estinguerci, serve un cambiamento epocale».
Quando la dimetteranno?
«Presto, spero entro la fine della settimana. La convalescenza la voglio trascorrere nella “mia” Vo’. E chi se ne importa se è ancora isolato: è un paese bellissimo, abitato da brave persone che lavorano la terra e ne ricavano cibo e vino buono. Non vedo l’ora di tornarci».
Medici e infermieri sono straordinari noi malati indossiamo la mascherina loro vestono protezioni su tutto il corpo e uno scafandro che li fa sembrare palombari