LE PAROLE MANCATE
In questi giorni molti organizzatori di eventi (pubblici e privati) nelle regioni più colpite dai contagi del coronavirus e dalle restrizioni decise da Governo e Regioni sono stati costretti ad annullare o posticipare le loro iniziative. Quel che è interessante è come lo hanno comunicato. Salvo rarissime eccezioni lo hanno fatto senza mai citare l’emergenza sanitaria. Lo hanno fatto, come dicevano Cochi e Renato, con un giro di parole.
Per esempio Veronafiere, nel comunicato che annuncia il rinvio di Vinitaly, esordisce con un «in considerazione della rapida evoluzione della situazione internazionale che genera evidenti difficoltà a tutte le attività fieristiche a livello continentale». Anche la Biennale di Architettura di Venezia viene posticipata «in conseguenza delle recenti misure precauzionali in materia di mobilità prese dai governi di un numero crescente di paesi del mondo, che avranno effetti a catena sul movimento delle persone e delle opere nelle prossime settimane». Altri si rifugiano nel linguaggio burocratico: «In ottemperanza all’ordinanza della Regione del Veneto, tutti i concerti degli Amici della Musica di Padova previsti da oggi fino a tutta Domenica 1 marzo sono rinviati a data da destinarsi». Altri, come Pitti Taste a Firenze, non parla neppure di rinvio, ma di nuove date. «È stata una decisione obbligata vista la situazione del Paese, con intere aree in cui le attività produttive e commerciali sono ridotte al minimo». Non citare il coronavirus o l’emergenza sanitaria nei motivi del rinvio o annullamento è anche un modo per non enfatizzarne l’esistenza. Aggrapparsi a decreti o decisioni di altri è una scorciatoia per non assumersi la responsabilità dei disagi: non è una nostra decisione, ma di governo o Regione. Tutto vero, ma c’è di più. Le aziende, associazioni, fondazioni sono fatte di persone, ma non sono una persona. Altrimenti sarebbe facile fare psicologia spicciola e aggrapparsi a Sigmund Freud e parlare di negazione e inconscio. Conta molto di più la cultura di impresa che si è affermata nel nostro mondo e che si riassume nella frase che «l’importante è raccontarsi bene». Ma il marketing, che nasce per posizionare bene il prodotto di massa, ha piano piano invaso altri campi, per esempio quelli della politica, della cultura, dell’arte. Tutto è diventato prodotto, nel nostro sistema ricco e globale, e tutto ha avuto bisogno del marketing. E la prima legge del marketing è appunto che le cattive notizie non si dicono, che c’è sempre un alto modo per dire la verità, senza dire bugie. Ma una epidemia è una esperienza primitiva, non appartiene al nostro mondo complesso. Genera spettri antichi, risveglia caverne e oscurità in ognuno di noi. E non basterà per rassicurare non citare il coronavirus. Le parole mancate, in questo caso, diventano fantasmi che rischiano di fare ancora più paura, perché purtroppo rivelano le nostre angosce.